Un tumore si porta via Leonardo Corazza a 21 anni: fino all'ultimo è rimasto fra le sue montagne

La tragedia a Belluno, la malattia scoperta meno di un anno fa

Un tumore si porta via Leonardo a 21 anni: fino all'ultimo è rimasto fra le sue montagne
di Angelo Santin
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Lunedì 29 Maggio 2023, 08:37 - Ultimo aggiornamento: 08:47

VAL DI ZOLDO - Una famiglia sconvolta, che, prendendosene cura come meglio non avrebbe potuto, l’ha accompagnato lungo tutto il percorso della malattia; e una valle incredula, che, colpita nel profondo, si è stretta attorno a lui e ai familiari, facendo sentire solidarietà e affetto sincero. Leonardo Corazza, 21 anni, Leo per gli amici, se n’è andato, portato via qualche giorno fa da un male subdolo e aggressivo, un tumore che, scoperto nemmeno un anno fa, l’aveva sempre più fiaccato nel fisico, fino alla resa, e che però non era mai riuscito ad avere ragione della sua volontà di ferro e, finché è stato possibile, nemmeno del suo ottimismo.

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IL PROFILO Praticamente "nato" in rifugio, perché la mamma Raffaella, che allora gestiva il Sora ‘l Sass di Mezzodì, l’ha portato in pancia lassù fino ad un mese dalla nascita; e in quel rifugio ha cominciato a muovere i primi passi.

Garantendosi una "cittadinanza d’alta quota" che l’ha sempre caratterizzato e cui non avrebbe mai più rinunciato. «Aveva radici profonde in questa valle, cui era legato come le radici dei mughi sono avvinghiate alla roccia». Un legame che l’avrebbe portato a conquistare, divenuto grande, un rifugio tutto suo: perché nella scorsa estate ha gestito, insieme al fratello Riccardo e a Gabriele, il rifugio Bosconero, da fine maggio fino ai primi di ottobre. Dedicandovisi anima e corpo. In quota tornava regolarmente «perché al rifugio c’è da lavorare», senza mai sottrarsi nemmeno ai lavori più pesanti, «sebbene ne leggessi inequivocabilmente la stanchezza nel suo sguardo», ricorda la mamma: puntando a non farsi dettare i tempi dalla malattia, ma cercando di essere lui a dettarli.

IL CARATTERE Di ritorno da Padova, dove la Gastroenterologia di Belluno l’aveva indirizzato e dove si recava regolarmente per le terapie, non faceva niente per nascondere la flebo della chemio. Ma la chemio per lui era solo una parentesi, che non doveva e non poteva allontanarlo dalla sua grande passione, la montagna, e “la sua” montagna. Per un paio di giorni girava per il paese, con quella collana al collo, frequentava gli stessi locali, incontrava gli amici di sempre, Gian, Vichy, Omar, Evan e tutti gli altri che è impossibile nominare; e a chi gli chiedeva «come va?», rispondeva senza giri di parole: «Non benissimo, ho un cancro», lasciandoti senza fiato. Ma poi non ne voleva più parlare. Come tanti ragazzi di Zoldo, la stagione invernale l’ha fatta agli impianti di risalita di Pecol: «Sapevano della sua situazione, ma ciò nonostante l’hanno assunto, senza difficoltà; sapevano che si sarebbe potuto assentare molto, ma hanno privilegiato la persona: e di questo sono loro riconoscente. Perché questo sostegno che gli è stato garantito è stato fondamentale per assicurargli almeno una parvenza di normalità», racconta ancora Raffaella; che non dimentica nemmeno l’aiuto ricevuto dal comune, proprio datore di lavoro, che l’ha agevolata in tutti in modi in questo periodo difficilissimo.

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LA RICONOSCENZA «Leo non si è mai lamentato, ha cercato di pesare il meno possibile sulla famiglia, che voleva non soffrisse troppo per lui», conclude la mamma. Che ha però un ultimo pensiero: «Se abbiamo potuto seguirlo a casa, evitandogli ricoveri forse "ragionevoli", ma che l’avrebbero e ci avrebbero ancor più massacrato, lo dobbiamo alla professionalità e alla dedizione del servizio di cure palliative, un fiore all’occhiello della sanità veneta, che forse non tutti conoscono e il cui valore invece va conosciuto e riconosciuto non solo dai cittadini, ma anche dai vertici. Un servizio che, insieme ai nostri storici medici di base, ha permesso a Leo di rimanere fra i suoi affetti fino alla fine».

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