Eleonora Bottaro, morta a 17 anni di leucemia perché rifiutò la chemio. I giudici: «Succube delle teorie dei genitori»

La Cassazione ha respinto il ricorso dei genitori, che avevano rinnegato l'uso dei farmaci

Eleonora Bottaro, morta a 17 anni di leucemia perché rifiutò chemio. I giudici: «Succube delle teorie dei genitori»
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Mercoledì 10 Maggio 2023, 08:10 - Ultimo aggiornamento: 14:46

La chemio negata, la morte, il processo. Quella di rifiutare le cure contro la leucemia, da parte della giovane Eleonora Bottaro «non fu una libera scelta che i suoi genitori ritennero di rispettare, ma un'opzione consapevolmente adottata dai genitori in prima persona, nonostante i medici li avessero informati dell'impossibilità, per la figlia, di guarire senza la chemio». È un passaggio delle motivazioni - riportate dal «Corriere del Veneto» - per le quali, il 23 marzo, la Cassazione ha respinto il ricorso dei padovani Lino Bottaro e di sua moglie Rita Benini confermando la condanna a due anni per l'omicidio colposo della figlia, morta il 29 agosto del 2016. I giudici della Suprema Corte ricostruiscono con cura la vicenda di Eleonora, che appena diciassettenne scoprì di essere malata di leucemia linfoblastica acuta e che si oppose alle terapie nonostante i medici le avessero prospettato l'80 per cento di possibilità di sopravvivenza. A spalleggiarla c'erano i genitori, accaniti sostenitori della medicina alternativa professata da Ryke Geerd Hamer, un medico tedesco radiato proprio per le sue teorie anti-scientifiche.

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Lino Bottaro e la moglie si sono sempre difesi sostenendo che quella di rifiutare le cure suggerite dai medici di Padova fu una scelta maturata autonomamente dalla figlia e per questo, tra i motivi del ricorso, ricordavano una sentenza del 1998 del tribunale per i minori di Venezia che «stabilì di tener conto della volontà di una bimba di soli nove anni affetta da leucemia, che aveva rifiutato la chemio in quanto troppo invasiva e debilitante».

Ma per i giudici della Cassazione, dal caso di Eleonora «esula ogni rilevanza della tematica relativa al diritto del minore all'autodeterminazione» e questo perché «la ragazza non aveva, in ragione dell'età, la percezione della reale possibilità di morire, essendo forte di un senso di immortalità e delle convinzioni dei propri genitori, i quali sempre si erano opposti alle cure che ideologicamente rifiutavano (...) anche di quelle minimali, come un prelievo o una flebo idratante».

La studentessa padovana era «condizionata dalle decisioni dei genitori, di cui si fidava ciecamente (...) i quali le avevano detto che la chemio non era necessaria, anzi era nociva».

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I giudici hanno posto l'accento sul fatto che la ragazza «accettasse come un dato di fatto le cure che le proponevano i genitori senza sapere neanche cosa fossero e come la ragazza fosse succube delle convinzioni dei genitori, a cui si era assuefatta e che aveva fatto proprie. E infatti il giudice a quo ha posto in rilievo come laddove i genitori sceglievano le cure, anche se invasive, come le iniezioni sulla schiena, la ragazza non facesse opposizione e non si desse neppure la pena di capire di che cosa si trattasse, "limitandosi a definire le stesse 'robe strane', con totale accettazione».

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