Covid, gli eroi premiati da Mattarella: «Siamo stati segnati a vita, ora non sprechiamo tutto»

Covid, gli eroi premiati da Mattarella: «Siamo stati segnati a vita, ora non sprechiamo tutto»
di Claudia Guasco
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Mercoledì 21 Ottobre 2020, 07:31 - Ultimo aggiornamento: 08:05

Il 20 febbraio scorso, epoca in cui il Covid sembrava soltanto un virus cinese, era di turno all'ospedale di Codogno quando è arrivato un giovane paziente con una polmonite gravissima. Peggiorava, non rispondeva alle cure, la dottoressa ha pensato all'impossibile. E forzando il protocollo ha eseguito il tampone, che ha rivelato la presenza del virus anche nel nostro Paese. Quando ieri Annalisa Malara, anestesista, è entrata al Quirinale per ricevere l'onorificenza al merito, era emozionata come quel giorno.

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«Attendevo questo momento da giugno, con trepidazione.

Ripaga del sacrificio di tanti mesi estenuanti, che hanno lasciato il segno. L'ho visto con i miei occhi e non posso né voglio tacere ciò che ho imparato in corsia, l'ho scritto anche in un libro i cui proventi andranno in borse di studio. È troppo alto il costo in termini di vite umane pagato al coronavirus».

Dottoressa Malara, la prima ondata ci ha lasciato qualcosa o questi mesi così duri sono andati sprecati?
«Abbiamo imparato dall'esperienza, l'impatto con la pandemia ci ha insegnato molto. Abbiamo retto grazie alle risposte individuali in ogni singolo ospedale e questo ci ha fatto crescere. Superata l'emergenza del contagio beneficeremo di miglioramenti nella telemedicina, nella capacità di trattare i pazienti, dirigere i flussi dei malati. Ma se la crescita del virus torna a essere esponenziale, il sistema sanitario sarà di nuovo sotto pressione. È essenziale contenere la curva. Ho sentito dire: adesso si è capito come affrontare il Covid, basta restrizioni, chi si contagia può essere curato. E invece no, solo se i malati sono pochi possono essere assistiti nel modo migliore».

Mancano le strutture? Il personale?
«Già molto prima della pandemia medici e operatori sanitari scarseggiavano. Abbiamo affrontato il contagio con numeri ampiamente inadeguati, è stato sfiancante: facciamo un lavoro che è un susseguirsi di tanti turni, ritmi serrati, responsabilità pesanti. E guadagni scarsi, chi fa questo lavoro è mosso da una grande passione. Purtroppo il personale specialistico non può essere formato dall'oggi a domani, la carenza di medici di pronto soccorso e rianimatori non può essere colmata nell'arco di un paio di mesi».

Teme una nuova crisi delle strutture ospedaliere?
«Anche all'ospedale di Lodi, benché non sia più un hub, arrivano in pronto soccorso pazienti con sintomi, tanti asintomatici, purtroppo nell'ultima settimana anche con problemi respiratori. I colleghi mi dicono che Milano è in difficoltà, i malati aumentano in modo massiccio. Questo è il momento chiave per cercare di mantenere il più possibile sotto controllo i contagi. Con una crescita esponenziale ci troveremmo nella medesima situazione dell'inverno scorso».

Rendendo inutili mesi di sofferenza e di fatica.
«Ora tutto sta alla responsabilità individuale. Non bisogna abbassare la guardia ed essere consapevoli di ciò che il virus comporta. Non prenderlo sottogamba. Purtroppo sento ancora molte persone scettiche sulla pericolosità del contagio: chi, fortunatamente, non è stato coinvolto da vicino, non ha sentito il suono incessante delle sirene può non averne la reale percezione. Capita anche a chi, pur vivendo in aree limitrofe alla zona rossa del lodigiano e del cremonese, non si è ammalato o non ha partecipato alla rete di soccorso territoriale. Questo è il punto dirimente, dobbiamo ribadire il messaggio che l'azione individuale è determinante. Non esiste un vaccino, né una terapia efficace e validata. L'unica soluzione è fare leva su singoli. Spero sia sufficiente a contenere l'avanzata del virus».
 

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