Tumore alla prostata, la malattia di William Hurt ha colpito 36mila persone all'anno. Terapie sempre più mirate

Le terapie oncologiche si fanno sempre più personalizzate

Tumore alla prostata, la malattia di William Hurt ha colpito 36mila persone all'anno. Terapie sempre più mirate
di Giampiero Valenza
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Martedì 15 Marzo 2022, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 12:39

Il tumore della prostata, la causa della morte dell'attore William Hurt, è una delle forme più frequenti di cancro tra gli over-50: tocca un caso su 5. Nel solo 2020, in Italia, sono stati stimati 36.000 nuovi casi. Secondo dati Airtum tra il 2008 e il 2016 l’incidenza è lievemente aumentata (+3,4%) negli under 49, ma è rimasta sostanzialmente invariata nelle persone più anziane. In Italia sono state 7.696 le persone che nel 2020 sono morte per cancro prostatico.

La sopravvivenza dei pazienti italiani è attestata al 92% a 5 anni della diagnosi, ed è in costante crescita. Un numero che è superiore rispetto alla media europea che si attesta intorno all’83%. Nel vecchio continente, stando a numeri della Società italiana di urologia, ne soffrono 2 milioni e mezzo di persone, con 450mila nuovi casi e 107 mila decessi.

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Ma in cosa consiste? Il tumore si sviluppa nella prostata, appunto, una piccola ghiandola a forma di noce che si trova nel bacino degli uomini.

I fattori di rischio

La probabilità di avere un tumore alla prostata aumenta con l’aumentare dell’età, dei livelli di alcuni ormoni (come il testosterone). Ma a incidere sono anche la storia familiare, i fattori genetici, la dieta (un elevato apporto calorico e di grassi), l’obesità, il fumo. Ci sarebbero alcuni dubbi anche sul consumo di prodotti caseari, ma le ricerche sono ancora in corso. Tra i fattori protettivi, invece, il consumo di caffè, pomodori, pesce, la vitamina D, l’uso delle statine e l’attività fisica.

Quali sono i sintomi della malattia

Non c’è un unico campanello d’allarme che ci può far pensare a un tumore alla prostata. I disturbisono gli stessi che si accompagnano all’iperplasia prostatica benigna come l’indebolimento del getto delle urine, una frequente e incontenibile necessità di urinare (sia di giorno sia di notte), un possibile dolore alla minzione, la presenza di sangue nelle urine (in alcune occasioni). I sintomi compaiono solo se la neoplasia è abbastanza voluminosa da esercitare un'infiltrazione di uretra o vescica. È difficile quindi che siano presenti se la malattia è in stadio iniziale e di piccole dimensioni. Il tumore cresce spesso lentamente: ecco perché i sintomi possono rimanere assenti per molti anni.

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Diagnosi

La maggioranza dei carcinomi della prostata è diagnosticata in fase asintomatica attraverso lo screening basato sul dosaggio del Psa e l’esame digito-rettale. Ecco perché è fondamentale partecipare alle attività di controllo ed effettuare periodicamente una visita medica specialistica in età adulta fatta dall’urologo. Il Psa non è il marcatore del tumore ma fotografa il benessere della prostata: è elevato quando c’è un’infezione o un’infiammazione. Quindi, potrebbe capitare di avere alto il valore ma di essere davanti a una iperplasia benigna prostatica.

Nel caso in cui il valore del Psa o l’esplorazione rettale diano al medico alcuni sospetti, lo specialista può suggerire una biopsia della prostata eco-guidata. La risonanza magnetica invece è una procedura che evidenzia i tumori clinicamente significativi.

Le cure

Il trattamento standard è la radioterapia. Quando il tumore della prostata si trova in stadio metastatico, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta: viene preferita la terapia ormonale per ridurre il livello di testosterone.

Nei casi più resistenti, una delle conseguenze può essere la castrazione. Ma in questo caso i pazienti hanno sì sconfitto un tumore, ma non possono più avere una vita sessuale normale per colpa della disfunzione erettile. Sono 12.000 ogni anno gli italiani colpiti da tumore della prostata sottoposti a rimozione radicale del pene e di questi almeno la metà avrebbe indicazione all'impianto di protesi. Ma la maggior parte dei candidati non ha accesso alle cure perché, essendo escluse dai Lea, le Regioni non sono tenute a erogarle. Così per motivi economici sono pochissimi gli impianti a disposizione, in pochi centri pubblici, distribuiti in modo disomogeneo sul territorio.

Stando ai dati del Registro nazionale della Società italiana di andrologia (Sia), a fronte di circa 3.000 richieste, le protesi erogate sono appena 400 l'anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. Gli esperti della Sia hanno lanciato perciò un appello alle istituzioni, perché l'intervento di protesi peniena venga inserito quanto prima nei Lea, i livelli essenziali di assistenza. «Solo il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in una struttura pubblica, con liste di attesa che possono superare i 2 anni. Il restante 90% per tornare a una normale attività sessuale deve affidarsi al privato non convenzionato», ha commentato Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore di Urologia all'Università Federico II di Napoli. «Le protesi sono indicate per i pazienti che a seguito di un intervento di rimozione di un tumore prostatico hanno una disfunzione erettile grave che non risponde alle terapie mediche», conclude Palmieri.

Il futuro

A fine 2021 l’autorità regolatoria statunitense, la Food and Drug Administration, ha dato il via libera a nuovi farmaci che colpiscono la proteina Parp che permette alle cellule tumorali di sopravvivere. Questi ritrovati si sono efficaci per chi ha la mutazione del gene Brca2, una condizione che secondo la ricerca rende i casi di tumore della prostata molto aggressivi.

Le terapie oncologiche si fanno, però, sempre più personalizzate. Oggi, per esempio, è possibile lottare contro le recidive del tumore alla prostata con la radioterapia, in una sola seduta di circa 40 minuti, concentrando in una singola dose una grandissima quantità di radiazioni ionizzanti cioè raggi X ad alta energia. Tra i centri più innovativi c’è il Dipartimento di Radioterapia Oncologica avanzata all'Irccs di Negrar che ha applicato questo sistema sia sulle metastasi addominali da tumore del colon sia sulle recidive del bacino da tumore della prostata.

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