Omicron, uno starnuto in strada deve farci preoccupare? Ecco le variabili da considerare

Senza mascherina le goccioline di saliva possono raggiungere la distanza di poco più d'un metro

Omicron, uno starnuto in strada deve farci preoccupare? Ecco le variabili da considerare
di Giampiero Valenza
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Giovedì 3 Febbraio 2022, 12:12 - Ultimo aggiornamento: 4 Febbraio, 10:35

Una persona starnuta in strada o in un ufficio, proprio accanto a noi. Dobbiamo preoccuparci per un contagio da Covid? La domanda ha una risposta con tante variabili e non si può dire a priori “sì” o “no”. Qui siamo davanti al calcolo del rischio, e quindi a fattori che mutano e che, ovviamente, possono cambiare la probabilità di essere contagiati.

Quali sono i fattori da considerare? La ricerca già da tempo ha considerato le diverse variabili.

Tra queste:

- La presenza in uno spazio aperto o chiuso

- L’aerazione del locale

- La presenza di dispositivi di protezione individuale

- La distanza interpersonale

- In quale occasione ci troviamo (per esempio, se si è solo passanti in strada o se si sta facendo una cena)

Il rischio si riduce molto se si è all’aperto e se le distanze vengono rispettate. Lo studio delle Università della California a Berkeley e a San Francisco pubblicato sul Journal of Infectious Disease ha confermato come ci sia una bassa percentuale di infezioni globali da Sars Cov-2 all'aperto (inferiore al 10%) mentre le probabilità di trasmissione al chiuso, invece, sono risultate molto elevate rispetto all'esterno (18,7 volte in più).

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Un lavoro del Centro regionale di Biologia molecolare dell'Arpa Piemonte, svolto in collaborazione con il Laboratorio di Virologia Molecolare e Ricerca Antivirale del Polo Universitario San Luigi Gonzaga di Orbassano dell'Università di Torino, con l'Università di Cassino e del Lazio Meridionale e la Queensland University of Technology di Brisbane, in Australia, ha accertato che il virus Sars-CoV-2 si trasmette tramite aerosol ben oltre le distanze a lungo ritenute "di sicurezza" (1-1.5 metri).

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Senza la mascherina, le goccioline di saliva emesse quando si parla da una persona che ha l'infezione da Sars Cov-2 possono raggiungere la distanza di poco più d'un metro, mentre starnutendo arrivano fino 7 metri in condizioni di elevata umidità. La mascherina chirurgica dà invece una protezione più forte. Una ancora maggiore la si ha utilizzando la Ffp2. Tuttavia è impossibile stabilire una distanza di sicurezza universale: a indicarlo sono i risultati ottenuti dal gruppo di ricerca di Francesco Picano, del dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, pubblicati sul Journal of the Royal Society Interface. I ricercatori propongono un modello di quantificazione del rischio di contagio da Covid-19 in funzione della distanza interpersonale, delle condizioni ambientali di temperatura e umidità e del tipo di evento respiratorio considerato (parlare, tossire o starnutire) con o senza l'utilizzo di mascherine.

Le stime che emergono dal modello, rilevano gli autori della ricerca, sono in accordo con le più recenti evidenze sperimentali. Dall'applicazione del modello per la stima del rischio di contagio si capisce che non esiste una distanza di sicurezza "universale" in quanto essa dipende dalle condizioni ambientali, dalla carica virale e dal tipo di evento respiratorio.

 

Ad esempio, considerando un colpo di tosse (con media carica virale) si può avere un alto rischio di contagio entro i 2 metri in condizioni di umidità relativa media mentre diventano 3 con alta umidità relativa, sempre senza mascherina. La ricerca, utilizzando i più recenti dati sperimentali sulla riduzione dell'emissione di goccioline ad opera delle mascherine, ha testato il modello per quantificare come i dispositivi di protezione individuale abbattano il rischio di contagio: l'utilizzo della mascherina, chirurgica e ancor di più se Ffp2, si dimostra essere un eccellente strumento di protezione abbattendo il rischio di contagio che diventa trascurabile già a brevi distanze (circa 1 metro), indipendentemente dalle condizioni ambientali o dall'evento respiratorio considerato.

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Ma quanto infetta? Un lavoro britannico in pre-pubblicazione su 36 volontari tra i 18 e i 29 anni senza evidenza di infezione o vaccinazione sono stati infettati con una gocciolina che conteneva il virus e che è stata inserita nel naso. Diciotto di loro si sono ammalati, con una carica virale in forte aumento e con un picco a circa 5 giorni dopo l'inoculazione. Il virus è stato rilevato per la prima volta nella gola, ma è salito a livelli significativamente più elevati nel naso, dove era recuperabile in media fino a circa 10 giorni dopo l'inoculazione. Sintomi da lievi a moderati sono stati riportati da 16 infetti, a partire da 2-4 giorni dopo l'inoculazione. La perdita totale o parziale dell’olfatto si è sviluppata più gradualmente in 12 partecipanti.

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