Long covid, solo il 20% guarisce davvero: i sintomi sono affaticamento, tosse e nebbia nel cervello

Long covid, solo il 20% guarisce davvero: per uno su 2 affaticamento e nebbia nel cervello
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Sabato 8 Maggio 2021, 15:16 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 00:46

Affaticamento, tosse, nebbia nel cervello. Sono i segnali principali del long Covid, ovvero quell'insieme di sintomi che continuano a tormentare i reduci dal coronavirus per settimane, se non addirittura mesi dopo la guarigione. Una sindrome che non è caratteristica di tutte le malattie virali e che necessita di un costante monitoraggio delle condizioni di salute dei pazienti perchè, a distanza di un anno dalla malattia, ancora non si conosce davvero la portata degli strascichi in persone anziane ma anche in giovani e bambini. 

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Le mosse del governo - Il ministro Speranza sta lavorando su risorse apposite da destinare ai pazienti colpiti dal 'lungo Covid' e pochi giorni fa l'Organizzazione mondiale della Sanità l'ha messo tra le proprità di cura. «Solo il 20% dei pazienti che ha avuto il Covid-19 è completamente ristabilito, senza nessun sintomo.

Quello più comune, a distanza di 2-4 mesi, nel 50% delle persone colpite dal virus è l'affaticamento fisico, a seguire la tosse»: a delineare il quadro è il professor Francesco Landi, responsabile del Day Hospital post-Covid del Policlinico Gemelli di Roma che da un anno monitora gli effetti del long Covid sui pazienti guariti. «La struttura multidisciplinare è stata aperta il 21 aprile 2020 - spiega Landi - ci siamo resi conto dopo le dimisisoni di maggio, che i pazienti ci chiedevano cosa dovevano fare. Così è partita l'osservazione di 150 persone che si è estesa ad oggi a 1400, non solo romani». 

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Il tema sintomi persistenti - Landi nel giugno 2020 insieme ad un gruppo di colleghi ha pubblicato uno studio su Jama proprio sui pazienti reduci dal Covid-19: si basava sui «sintomi persistenti», poi definiti long Covid negli Stati Uniti. Per il medico, un altro aspetto che sta emergendo nell'osservazione dei sintomi post coronavirus è un disturbo cognitivo, il cosiddetto fog brain «che comporta difficoltà di concentrazione e di memoria, sia nei giovani sia negli anziani, sia in chi è stato ricoverato e ha avuto una forma grave sia in chi si è curato a casa». Nei più piccoli - hanno osservato la Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili e la Società Italiana di Pediatria - gli effetti a lungo termine sono più di tipo psicologico che fisico, con una crescita di ansia e depressione. 

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Età media 50 anni - «È importante dare ai pazienti la possibilità di fare controlli ai polmoni, al cuore, al cervello e di essere seguiti in un percorso di riabiltazione, esercizio fisico, alimentazione sana - aggiunge Landi - purtroppo ancora non sappiamo quanto dura un percorso di ripresa, a distanza di un anno dall'apertura della nostra struttura multidisciplinare stiamo richiamando i pazienti guariti dal Covid per vedere la traiettoria della malattia. Ora conosciamo meglio la fase acuta e post acuta, a due-quattro-sei mesi, ma ancora non sappiamo davvero cosa accade su un periodo più lungo». Il long Covid, infine, non è solo una nuova sfida per la medicina generale ma anche per quella del lavoro. «L'età media dei pazienti colpiti da long Covid è 50 anni, quindi in età lavorativa. Questo implica un'analisi attenta anche per i risvolti che avrà nella medicina del lavoro - conclude Landi - È importante capire come tornare al lavoro: un conto è affrontare i sintomi persistenti della malattia a casa, in poltrona, un conto è riprendere le attività usuali, reintrodursi nel mondo del lavoro, avere una spinta in più. È importante vengano fatte analisi e valutazioni costanti».

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