Quando l'orologio interno va in tilt: ecco come il jet lag può causare l'obesità

Quando l'orologio interno va in tilt: ecco come il jet lag può causare l'obesità
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Sabato 6 Dicembre 2014, 20:50 - Ultimo aggiornamento: 8 Dicembre, 16:13
L’organismo è regolato dal ritmo circadiano, “l’orologio interno” che scandisce l’alternarsi delle fasi di sonno e veglia, la variazione della temperatura corporea, della pressione sanguigna, della secrezione di enzimi e ormoni.

Le lancette di questo immaginario orologio si attivano in base alla presenza della luce del giorno (e alla sua conseguente assenza durante la notte). Per questo motivo, fare le ore piccole fa strage dei nostri neuroni, disorientati dalla veglia notturna. La stessa cosa avviene dopo un volo di lunga durata, che provoca il fatidico jetlag, per cui abbiamo bisogno di un giorno di riposo per riprenderci e tornare ai ritmi abituali.

Ma l’uomo non è l’unico essere vivente a disporre di questo “sistema a orologeria”: secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell, i microbi intestinali dei topi, proprio come quelli dell’uomo, rispondono ai ritmi circadiani controllati dall’organismo ospitante; la ricerca, condotta dall’immunologo Eran Elinav dell’Istituto Weizman di Scienza di Israele, potrebbe aiutare a comprendere meglio indagini passate, che collegavano le alterazioni subite dal nostro orologio interno con un’ampia gamma di disordini legati al metabolismo, tra cui l’obesità, il diabete, il cancro, le malattie cardiovascolari.

Studi precedenti avevano correlato abitudini tipiche di uno stile di vita contemporaneo - come viaggiare così frequentemente da sviluppare disfunzioni orarie croniche o lavorare seguendo turni particolari - con una maggiore predisposizione a sviluppare malattie del metabolismo. Queste tesi sono state riscontrate in pazienti affetti da obesità, anche se finora non era stato possibile dare una spiegazione scientifica della correlazione. Il professor Elinav ha quindi fissato il suo obiettivo: capire se la flora intestinale potesse essere l’anello mancante tra l’alterazione veglia-sonno dei pazienti e lo sviluppo di certi disturbi del metabolismo.

«Dal momento che i batteri presenti nell’intestino svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere l’omeostasi metabolica (ossia, la capacità che tutti gli esseri viventi hanno di godere d’un equilibrio interno stabile attraverso scambi con l’esterno), pensiamo che possano essere proprio loro, i batteri, la chiave che ci spiegherà perché l’interruzione del ciclo circadiano, provocata dal jetlag o da altri “disordini temporali”, predisponga ad alcune malattie come l’obesità» commenta Elinav. Per provare questa ipotesi, il professore e la sua equipe hanno condotto un esperimento sui topi, a cui hanno alterato i cicli luce/oscurità, incidendo così sui loro ritmi circadiani, oltre a nutrirli con una dieta ricca di grassi. Analizzandone poi i campioni di feci e mettendoli a confronto con altri, hanno constatato che la flora intestinale dei primi aveva subito alterazioni nella sua composizione, oltre a perdere efficienza nelle capacità di crescita cellulare e disintossicazione.

Il gruppo di studio ha poi fatto un passo avanti: «I risultati dimostravano che non sono solo il tipo di alimentazione e i singoli cibi a determinare un equilibrio della flora batterica ma anche il momento in cui ci si nutre di quei cibi» continua il professor Elinav. «La interruzione dei ritmi circadiani, inclusa l’alterazione dei tempi di alimentazione, incideva negativamente sull’omeostasi batterica, che a sua volta favoriva l’obesità nei topi. Volevamo dimostrare se questa scoperta potesse valere anche per l’uomo» conclude l’immunologo israeliano. Per questo, la sua equipe ha analizzato i campioni delle feci dei passeggeri di un volo dagli Stati Uniti a Israele, i quali avevano quindi attraversato diversi fusi orari. Sono state riscontrate modifiche nelle funzioni e nella composizione della flora intestinale, simili a quelle viste nei topi e caratteristiche dei disturbi provocati dal diabete.

Ma si è levata qualche voce contraria: Josè Luis Rodríguez Fernández, capo del Dipartimento di microbiologia molecolare e biologia delle infezioni del CIB (Centro di ricerca biologica) di Madrid, mette in guardia sul numero troppo basso di persone con cui confrontare i risultati della ricerca sui topi: essendo uno studio di fondamentale importanza, il professor Rodriguez Fernandez si augura che in futuro venga svolto un lavoro molto più esaustivo, coinvolgendo un numero congruo di persone. Un’opinione condivisa da Ignacio Lopez Goni, docente di microbiologia dell’Università di Navarra, per cui nella ricerca alcuni importanti fattori non sono stati considerati: «Tenendo conto del fatto che i microbi variano molto da persona a persona, oltre che per età, sesso, dieta alimentare, sembra molto azzardato trarre conclusioni così definitive sugli esseri umani».
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