Coronavirus, vuoto di tutela per medici e ospedali: «Serve una risposta legislativa»

Coronavirus, vuoto di tutela per medici e ospedali: «Serve una risposta legislativa»
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Martedì 14 Luglio 2020, 13:06

Un lavoro intenso e senza sosta, finalizzato a proteggere i medici, gli operatori e le stesse aziende sanitarie. Il rischio, infatti, è di trovarsi senza tutele, nel caso in cui dovessero piovere le richieste di risarcimento relative all'epidemia da Coronvirus. A raccontare della complessa situazione per primo, è Federico Gelli, dall'Ospedale Santa Maria Nuova a Firenze, presidente della fondazione Italia in Salute, dal centro Covid19 del capoluogo toscano. 
Gli faranno seguito altri esperti, nell'ambito del webinar "Sanità, cosa imparare dall'esperienza Covid19?", svoltosi lo scorso 9 luglio. 
 
«Abbiamo lavorato e stiamo lavorando tutti in prima persona per attrezzare e proteggere i 15.000 dipendenti dell’azienda sanitaria Toscana Centro - ha detto Gelli -  mettendo in atto innumerevoli procedure di contenimento del contagio sulla scorta di precise attività di prevenzione del rischio. L'obiettivo è prevenire il rischio non solo sanitario, ma anche biologico». Naturalmente l'obiettivo è essere preparati di fronte a una nuova ondata, che secondo molti potrebbe arrivare in autunno.  Ma non si parla solo di questione relative alla salute, perché prosegue il presidente: «Temo che a settembre ci si debba preparare non solo al ritorno del Sars Cov-2, ma anche anche a una campagna di aggressione verso i professionisti sanitari, per ottenere risarcimenti».

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Il problema sarebbe, in quel caso la scarsa copertura dal punto di vista legale: «Credo che le tutele previste dalla Legge 24/17 siano difficilmente applicabili. Con la pandemia, è di fatto “saltato” ogni riferimento scientifico, in assenza del quale diventa molto complicato stabilire i gradi di responsabilità di un professionista. Penso a quei medici, infermieri e operatori che non si sono tirati indietro per assistere i contagiati, con turni massacranti, spesso sprovvisti di adeguati dispositivi di protezione e che in troppi casi hanno dato la vita per salvarne altre».

Non basta secondo Gelli l'appellativo di "Eroi": «Giusto chiamarli così, ma proprio per questo avevo proposto alle forze politiche un emendamento che innalzasse ulteriormente le tutele e le garanzie nei confronti degli esercenti la professione sanitaria, con riferimento a responsabilità penale e civile». Un emendamento coraggioso: «Che introduceva il livello di responsabilità civile e penale solo per dolo e colpa grave». Si sarebbero naturalmente specificati i significati di dolo e colpa grave, ma lo scopo era «circoscrivere l’altrimenti attuale completa discrezionalità di giudizio affidata al magistrato». I dialoghi con il ministro Speranza, tuttavia, pur frequenti non hanno portato a una conclusione soddisfacente «Ad oggi - ribadisce Gelli - non si è riusciti, purtroppo, a trovare un punto d’incontro tra le forze di maggioranza per sostenere l'integrazione della 24/17». Non è l'unica richiesta di Gelli: «Mi auspico, certamente non da solo, che il legislatore intervenga costituendo un fondo ad hoc per tutte le richieste di risarcimento che perverranno, istituendo, un meccanismo di rimborso forfettario che calmieri le denunce sia nei confronti dei medici che delle strutture».

RICCIARDI Aspetti legali, ma non solo perché la paura è di ripiombare nell'incubo di marzo e aprile: «C’è il rischio che gli italiani non abbiano imparato la lezione dell’emergenza Covid19 - dice Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza e professore all'università cattolica del Sacro Cuore - Se vorremo dare una discontinuità al Paese, dobbiamo dotarci di visione e di una nuova leadership politica e professionale». Il professore ha poi aggiunto: «Che potremmo rifare gli stessi errori, lo dimostra il fatto che l’epidemia in Italia non è affatto finita. I numeri sui contagi, ancora oltre 200 positivi nella sola giornata del 10 luglio, e lo scoppio di focolai in molte Regioni suggeriscono una situazione ancora in allerta». Naturalmente ci si chiede dove risiedano le cause: «C'è, è innegabile - afferma Ricciardi - un problema di allocazione di risorse finanziarie. Il de-finanziamento del sistema sanitario nazionale negli ultimi 10 anni è stato devastante».

Per rendere l'idea usa una metafora: «Pensavamo di sbarazzarci delle suppellettili dell’aereo sul quale voliamo ed invece abbiamo buttato via parte del motore. Basta guardare l’attuale discussione sul recepimento senza condizionalità dei 36 miliardi del Mes, cosa che ci consentirebbe di mettere in sicurezza il sistema sanitario per due generazioni». La situazione, di per sè grave, è amplificata dalla pandemia: «Tutto questo è ancor più devastante in presenza di un virus che certamente non sta a guardare governi regionali o nazionali per diffondersi. Il virus ha colpito e sta continuando a colpire tutto il mondo. Se in Italia la sua patogenicità è oggi inferiore lo dobbiamo in buona parte alle misure prese e raccomandate dalla comunità scientifica. È il motivo per cui in Italia il virus ha cessato di diffondersi con la stessa velocità che altrove».

La soluzione per Ricciardi è modificare la struttura del sistema: «L’ultima riforma sanitaria nazionale è del 1999. Sarebbe ora di rimettere mano all’assetto strutturale, cercare un equilibrio tra Stato e Regioni ma anche di governance e management a livello locale, aggiornando e attrezzando il ruolo delle aziende ospedaliere e quello della medicina generale». Il fulcro, tuttavia, non è questo: «Dobbiamo dotarci di visione e di una nuova leadership politica e professionale, che sappia essere trasformazionale e non più legata a modelli del passato. Leader politici e professionali che si chiedano cosa serva e a chi spettino determinati compiti».

COLETTA Si occupa di altri aspetti, Carlo Coletta, senior professional assicurativo e, tra l’altro, presidente di Pacta, l'associazione tra società di perizie e servizi assicurativi leader nel mercato italiano: «L’assicurabilità dei rischi di RC sanitaria ha risentito fortemente sia dell’incertezza generata dal contesto giuridico sia dell’assenza di un moderno assetto di risk management nelle strutture sanitarie pubbliche. Ciò ha ha generato una fuga di assicuratori del settore».

L'aspetto principale è valutare l'assicurabilità dei rischi sanitari: «La gestione del rischio come struttura mentale e approccio culturale, da contrapporre alla gestione “ex post facto” delle emergenze - sottolinea Coletta - è presente solo a macchia di leopardo nel sistema economico-sociale italiano e in misura largamente inadeguata: la sanità, in particolare quella pubblica, non si sottrae al ritardo culturale del Paese». 

La soluzione è, in fondo, la più ovvia secondo Coletta: «Lasciamo che metodologie oggettive di risk management siano tracciate da esperti (senza reinventare la ruota). Deve essere la cinghia di trasmissione per inquadrare il problema e per rappresentarlo poi correttamente quando il rischio deve essere trasferito sui mercati in modo sostenibile. Come si può pensare di collocare i rischi di RC del personale medico e delle strutture sanitarie nelle situazioni di emergenza senza disporre di un modello di risk management che sia efficiente, autorevole, affidabile, uniforme?» L'interrogativo di Coletta si risolve in un auspicio: «Che i meccanismi di gara pubblica siano sottoposti ad esigenze obiettive di tecnica di economia assicurativa. Non possono basarsi sulla sola ricerca del massimo ribasso».


MEZZOPERA Si concentra sulla scelta, «purtroppo usuale ma paradossale» di preferire il modello emergenziale all'organizzazione, l'intervento del professore Stefano Maria Mezzopera della Luiss Business School e vicepresidente di Sigeris, società italiana gestori del rischio. «Nella gestione del rischio in sanità, al 90% dei casi il problema non è legato alla clinica o all’assistenza ma si lega ad una sola variabile, che si chiama organizzazione e che va posta prima di ogni altra». Si spiega così la decisione delle compagnie di non assicurare più contro i rischi: «Semplicemente non li conoscevano».

Il professor Mezzopera denuncia, inoltre, il mancato consulto e utilizzo dei gestori del rischio che sono stati pressochè assenti dalla scena. «Il Covid19 ha visto tenere in disparte, in molte realtà italiane, il gestore del rischio che, invece, avrebbe avuto un ruolo anche predittivo di indiscutibile valore. Se un gestore del rischio competente avesse potuto disporre di dati aggregati, per esempio sulle polmoniti interstiziali, nei primi giorni di gennaio l’epidemia certamente avrebbe avuto un altro svolgimento».

La riflessione apre altri scenari: «Come ci insegnano le direzioni strategiche in aeronautica, negli impianti nucleari, nella finanza, il gestore del rischio sta e deve stare a fianco di chi decide, fa parte della squadra. Ma non ancora nella sanità italiana, dove spesso dietro la scritta “risk Manager” c’è una scrivania vuota. Il motivo è la mancanza di cultura, nonostante l’obbligo di segnalazione di eventi sentinella risalente a dieci anni fa».

NAPOLANO L'avvocato Gabriella Napolano vede un orizzonte meno torbido, almeno per i medici: «Per la specifica posizione dei medici potrebbe essere già sufficiente l’applicazione ed esatta interpretazione da parte dei giudici del canone di valutazione previsto dall’art. 2236 c.c. che, per la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tra i quali può sicuramente rientrare la gestione dell’emergenza, rispondono solo in caso di colpa grave o dolo».

La legale dello studio Improda afferma: «In base alla normativa esistente, le strutture sanitarie, su cui incombe anche l’esatto adempimento degli obblighi organizzativi della struttura stessa, saranno chiamate a rispondere alle eventuali richieste di risarcimento provenienti dai danneggiati, a titolo di responsabilità contrattuale. I medici che hanno operato quali dipendenti degli ospedali, invece, risponderanno a titolo di responsabilità extracontrattuale, laddove venga provato dal danneggiato di aver subito un danno casualmente collegato all’inesatto adempimento della prestazione medica posta in essere dal sanitario». Il rischio è chiaro: «Senza una sorta di scudo sia penale che civile in favore delle strutture sanitarie e dei medici, è possibile prevedere un elevato numero di contenziosi a loro carico, ma, mentre, la posizione dei medici è più facilmente difendibile invocando anche l’applicazione del canone di valutazione della colpa previsto dall’art. 2236 c.c.; per le strutture sanitarie la situazione è più complicata, soprattutto riguardo all’ipotesi in cui il paziente abbia contratto il virus all’interno dell’ambiente ospedaliero. 
In tali casi, infatti, la responsabilità della struttura potrebbe essere oggettivizzata, come avviene già nelle ipotesi di infezioni nosocomiali».

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