Covid, dopo gusto e olfatto ​attacca l'udito. «C'è chi non recupera»

Covid, dopo gusto e olfatto il virus attacca l'udito. «C'è chi non recupera»
di Mattia Bufi
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Martedì 30 Marzo 2021, 11:05 - Ultimo aggiornamento: 18:30

Tra i primi sintomi del Covid sappiamo che ci sono la perdita di gusto e olfatto. Ma quello che non sapevamo è che tra le conseguenze del virus può esserci un problema di udito che, a differenza degli altri due, non sempre regredisce. «Lo stiamo scoprendo oggi, purtroppo non sappiamo e non sapremo mai quanti pazienti deceduti nei mesi scorsi hanno avuto questo genere di effetti collaterali», spiega Domenico Napolitano, direttore dell’unità operativa complessa di Otorinolaringoiatria del Cardarelli. 

Il primario e la sua equipe hanno studiato in quest’anno di pandemia la questione della perdita di olfatto e gusto, giungendo a importanti conclusioni, e ora si stanno concentrando su questa nuova “sorpresa” che il Covid può riservare a chi ne viene colpito. «Nel novanta per cento dei casi si ritorna ad avvertire gli odori e a sentire i sapori - prosegue il dottor Napolitano - La capacità di regressione è dovuta al fatto che il virus non aggredisce direttamente le cellule dell’olfatto o del gusto ma solo i neuroni di supporto. Quindi in due o tre settimane in genere si riesce a recuperare». Altrimenti c’è comunque qualcosa che si può fare. «Se dopo quaranta giorni non si è avuta una regressione si inizia una terapia a base di vitamina A. Qualcuno usa anche il cortisone ma noi non siamo d’accordo».

Ma se non si ottengono i risultati auspicati ci si può sottoporre ad una sorta di training sensoriale. «Bisogna stimolare l’olfatto come in palestra si stimolano i muscoli. Inalare odori forti come limone, arancio, caffè in polvere, noce moscata, eucaliptolo o altro. A questo genere di terapia solitamente ricorre non più del venti o trenta per cento di chi ha subito la perdita di gusto e olfatto, il resto recupera autonomamente, tranne un dieci per cento che purtroppo non recupera affatto». Il primario chiarisce anche perché il Covid provochi questi disturbi. «Il virus lo troviamo in naso e faringe quando facciamo il tampone, quindi è chiaro che è da lì che comincia il suo l’attacco. Naso e faringe sono le porte d’ingresso che adopera per aggredirci».

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Ma adesso la nuova frontiera degli studi che vedono protagonista il Cardarelli riguarda i danni all’udito che il virus sta provocando in molti pazienti. «Siamo giunti alla conclusione che il Covid 19 colpisce anche l’orecchio interno, provocando abbassamento dell’udito, sindrome vertiginosa e acufene», spiega ancora Napolitano. Secondo il dossier raccolto con i suoi collaboratori, e che a breve sarà oggetto di una importante pubblicazione scientifica, il Coronavirus attacca l’arteria uditiva interna provocando microtrombi e ischemie, compromettendo il nervo acustico. «Noi siamo convinti che questa sia la causa principale dei danni all’udito ma potrebbero esserci anche altre ipotesi. Per esempio non sappiamo ancora quali conseguenze può provocare la somministrazione di idrossiclorochina in alcuni pazienti. Inoltre, un altro dato che emerge dagli studi fin qui fatti ci dice che il virus ha la capacità di attaccarsi all’emoglobina e viene trasportato con i globuli rossi agli organi più importanti. E siccome l’orecchio ha bisogno di molto apporto energetico potrebbe essere colpito per via ematogena». I dati attualmente disponibili sono riferiti solo ai casi della prima ondata, gli altri saranno pronti soltanto nei prossimi mesi. Ancora Napolitano: «Sappiamo che oggi il virus è meno letale ma non sappiamo cosa comporterà per quanto riguarda la sintomatologia». Ciò che invece si sa per certo è che i danni all’udito sono, come dice il primario, «una conseguenza dell’infezione da virus. La perdita uditiva può essere lieve o profonda e può colpire anche entrambe le orecchie». 

E gli effetti non sempre sono reversibili. «I pazienti sotto i cinquant’anni hanno recuperato completamente l’udito e superato del tutto anche la sindrome vertiginosa. Il problema è per gli over cinquanta che hanno invece evidenziato risultati positivi in meno della metà dei casi, gli altri continuano a dover fare purtroppo i conti con ipoacusia e acufeni». 

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