Covid, Nature: «I danni possono durare anni e servono più studi»

Covid, Nature: «I danni possono durare anni e servono più studi»
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Martedì 15 Settembre 2020, 19:29

Le persone con infezioni gravi da Covid 19 potrebbero subire i danni a lungo termine «e le prove di precedenti epidemie di coronavirus, come la Sars, suggeriscono che questi effetti possono durare per anni». Ad analizzare uno dei fenomeni a cui stiamo assistendo è un articolo apparso su Nature online, che mette in guardia anche «dall'impatto a lungo termine dei casi meno gravi» e sottolinea la necessità di «studi precisi in materia». I danni a lungo termine di infezioni gravi possono essere «non sono solo nei polmoni, ma anche nel cuore, nel sistema immunitario, nel cervello e altrove» spiega l'articolo su Nature.

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Ma «anche i casi lievi possono avere effetti che cambiano la vita, in particolare un malessere persistente simile alla sindrome da stanchezza cronica». Nei primi mesi della pandemia, la maggior parte della ricerca si è concentrata sul trattamento o sulla prevenzione dell'infezione. I medici erano ben consapevoli che le infezioni virali potevano portare a malattie croniche, ma esplorarlo non era una priorità. «All'inizio, tutto era acuto, e ora stiamo riconoscendo che potrebbero esserci altri problemi», afferma Helen Su, immunologa presso l'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive a Bethesda, nel Maryland (Usa). «C'è un preciso bisogno di studi a lungo termine», aggiunge. Molti ricercatori stanno ora avviando, per questo, studi di follow-up su persone che erano state infettate dal Sars-Cov-2.

Nel Regno Unito, ad esempio, lo studio Post-Hospitalization Covid-19 mira a seguire 10.000 pazienti per un anno, analizzando fattori clinici come esami del sangue e scansioni e raccogliendo dati sui biomarcatori. Uno studio simile su centinaia di persone e della durata di due anni è stato avviato negli Stati Uniti alla fine di luglio. «Abbiamo bisogno di linee guida cliniche su come dovrebbe essere questa cura dei sopravvissuti di Covid-19», conclude Nahid Bhadelia, medico di malattie infettive presso la Boston University School of Medicine del Massachusetts. E, per farlo, serve «quantificare il problema».
 

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