Tatuaggi e piercing, infezioni per un giovane su 4

Tatuaggi e piercing, infezioni per un giovane su 4
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 24 Giugno 2015, 18:15 - Ultimo aggiornamento: 27 Giugno, 11:40
Un quarto dei ragazzi che si sono sottoposti a tatuaggi e piercing ha avuto problemi di infezioni. Lo rivela una ricerca condotta dall'università di Tor Vergata su 2500 studenti liceali coinvolti con questionario anonimo, ha evidenziato come il 24% degli intervistati ha avuto complicanze infettive.

Solo il 17% ha firmato un consenso informato e uno scarno 54% è sicuro della sterilità degli strumenti che sono stati utilizzati. I rischi: dal virus dell'epatite B e C fino al virus dell'Aids.
Inoltre, da recenti studi scientifici, è stato rilevato come l'inoculazione nella cute di sostanze chimiche non controllate costituisca un rischio di reazioni indesiderate di tipo tossicologico o di sensibilizzazione allergica. «Se l'80% dei ragazzi ha affermato di essere a conoscenza dei rischi di infezione, solo il 5% è informato correttamente sulle malattie che possono essere trasmesse - spiega la dottoressa Carla Di Stefano autrice dell'indagine - ».

Eppure il 27% del campione ha dichiarato di avere almeno un piercing, il 20% sfoggia un tatuaggio e sono ancora di più gli aspiranti: il 20% degli intervistati ha dichiarato l'intenzione di farsi un piercing e il 32% di ornare la pelle con un tatuaggio.

«Il dato scientificamente più interessante - commenta la Di Stefano - sta nei tempi di sopravvivenza del virus rilevati negli aghi e nell'inchiostro, variabile da pochi giorni nell'ambiente a quasi un mese nell'anestetico: dato ancora più preoccupante se incrociato con la scelta degli adolescenti verso locali spesso economici e non a norma».

«Per quello che riguarda tatuaggi e piercing non ci sono casistiche da procedure effettuate in studi professionali ma il rischio aumenta quando queste procedure vengono eseguite da principianti in strutture con scarse condizioni igieniche e sterilità degli strumenti o con strumenti improvvisati, come corde di chitarra, graffette o aghi da cucito ma anche nelle carceri o in situazioni non regolate come l'ambiente domestico», interviene il professor Vincenzo Bruzzese, presidente del Congresso di Gastroreumatologia dove è stata presentata la ricerca.
© RIPRODUZIONE RISERVATA