Pierdante Piccioni:«Doc è la mia storia.Prima ero il principe bastardo, poi da paziente ho capito come fare il medico»

Pierdante Piccioni:«Doc è la mia storia.Prima ero il principe bastardo, poi da paziente ho capito come fare il medico»
di Barbara Carbone
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Giovedì 10 Marzo 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 08:59

Hanno portato per mano i telespettatori nelle corsie di un ospedale, i protagonisti della fiction di RaiUno campione di audience "Doc – Nelle tue mani".

Un viaggio tra le speranze e le paure dei pazienti ma anche tra le emozioni e le mille difficoltà incontrate dai medici. Ma la serie che ha visto Luca Argentero calarsi nei panni di Andrea Fanti, un ex primario di medicina generale che, dopo aver perso la memoria per un incidente, torna al lavoro cercando di mettere insieme i pezzi di una vita che ormai ricorda solo in parte, non è pura fiction. Racconta storie vere, casi clinici reali meticolosamente selezionati da Raffaele Landolfi, specialista in Medicina interna, direttore scientifico del Gemelli Training Center e consulente scientifico della serie.

IN PRIMA LINEA

Sotto il suo vaglio sono passate le sceneggiature e, nel suo reparto, hanno fatto “tirocinio” per settimane tutti i protagonisti della serie tv entrando, minuto per minuto, nella vita in corsia. Reale è anche la storia a cui Doc si ispira. Quella che Pierdante Piccioni, medico in prima linea nella lotta al Covid all’ospedale di Lodi, ha raccontato nel libro autobiografico "Meno dodici" (Mondadori) in cui ricorda lo stravolgimento della sua vita quando, dopo un incidente automobilistico, perde la memoria dei suoi ultimi 12 anni. La storia di un uomo di successo, un padre e un marito costretto a rimettersi in gioco. Come Andrea Fanti che, in Doc, vuole riappropriarsi del ruolo di primario perché in fondo spera di riavere quello di uomo, padre, marito e amante. «Doc siamo tutti noi, è uno che cade e si rialza - dice Piccioni - La mia vita è cambiata il 31 maggio 2013.

Mi trovano nella mia auto in coma. Quando mi risveglio credo che sia il 25 ottobre 2001. Dodici anni della mia vita erano stati risucchiati in un buco nero». Doc diventa un altro uomo. Deve svestire i panni di medico per indossare quelli di paziente. Non riconosce i suoi figli che immagina bambini ma che adesso sono adulti. Scopre che la sua mamma è morta anni prima. Nulla gli ricorda il volto di sua moglie e non riconosce se stesso allo specchio. Lo sgomento si trasforma in rabbia. Al dramma personale si aggiunge quello del ruolo. «Per dimostrare di essere normale ho dovuto studiare, superare tanti test e, dopo due anni, ho potuto indossare di nuovo il camice. Doc vince perché è vero. Luca Argentero mi dice sempre che è stato fortunato perché non ha fatto altro che copiarmi». C’è un Doc prima e dopo l’incidente. «Prima mi chiamavano il “principe bastardo” - racconta Piccioni- ero un medico corretto ma spietato. Adesso sono più umano, molto più empatico. Sono diventato un paziente. Spesso i miei collaboratori mi dicono: Doc, ad averlo saputo prima che diventavi così te la davamo noi una botta in testa».

LAVORO DI SQUADRA

Il successo di Doc è frutto di un grande lavoro di squadra secondo Raffaele Landolfi che ha istruito il cast. «La scelta di girare la fiction in un reparto di medicina interna è stata fatta perché è qui che si sviluppano i casi più complessi, quelli nei quali il problema centrale è la diagnosi- spiega - Mi è piaciuto molto lavorare con persone che avevano l’interesse a stabilire una modalità di rapporto con il paziente umana. Un rapporto che deve essere basato sull’ascolto perché sono proprio i particolari che, nel 90% dei casi, meglio indirizzano lo specialista verso la diagnosi. Si dice che il 15% delle diagnosi siano sbagliate o incomplete. Questo perché è mancata la valutazione dei particolari. La Gioconda è stata guardata da tutto il mondo per centinaia di anni e, solo recentemente, si è scoperto che ha delle manifestazioni tipiche di ipercolesterolemia familiare. Non si dovrebbe finire mai di essere accurati».  

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