La cronaca quotidiana ci consegna un grande bisogno di medici che, auguriamoci solo transitoriamente, sarà prevalentemente quantitativo.
Ad occhi attenti non sfugge tuttavia anche la dimensione qualitativa, cioè il bisogno di professionisti che adattino la tradizionale “ars medica” ai cambiamenti tecnologici e digitali.
Sbaglia però a mio parere chi sostiene che l’avvento delle tecnologie avanzate e dell’intelligenza artificiale cambierà per sempre la pratica della medicina, spazzando via il modello tradizionale di medico, reso nei fatti meno indispensabile. Va invece sfruttato appieno l’apporto che può dare l’intelligenza artificiale, considerandola come un amplificatore delle capacità del medico e non una sua potenziale alternativa. È come se fossimo passati, per perlustrare il fondo marino, dall’immersione in apnea a quella con le bombole di ossigeno. La tecnologia da sola non basta: se le bombole sono lanciate da sole in mare raggiungono prima la profondità dell’abisso, ma con le bombole sulle spalle, l’uomo perlustra la profondità meglio che in apnea. Di fatto, l’evoluzione consiste nella simbiosi tra l’uomo e la macchina, non nella sua sostituzione.
Oggi per esempio si fa un gran affidamento sulle potenzialità della telemedicina che, giusto per ricordare, è l’insieme di tecnologie e metodi per fare a distanza diagnosi e cure, monitoraggio e prevenzione. Vi è grande aspettativa su di essa, in tutte le sue applicazioni: tele-visita, tele-consulenza, tele-refertazione, tele-assistenza, tele-monitoraggio, tele-prevenzione, fin a teledialisi o telechirurgia, in pratica un potenziale ”teletutto” in campo medico e sociale in grado di superare la distanza e regalare a chi ne ha bisogno prossimità e cure appropriate.
Ma un errore iniziale di programmazione, il cosiddetto bias, può espandersi e amplificare i suoi effetti fino all’irreparabile. Insomma, l’esercizio della professione medica è ancora connubio di scienza e coscienza, sapere, saper fare e saper essere, insieme di conoscenze, competenze e abilità ma anche empatia, prove di efficacia e intelligenza emotiva, al servizio della relazione con il paziente. Ascoltare (con tutti i sensi) per capire e dunque scegliere al meglio: questo è il percorso per ogni medico. La sua sfida. Arbitro della propria libertà decisionale, di cui sempre deve rispondere, da esercitare con appropriatezza clinica e umanità, incrociando le prove di efficacia con la creatività del momento irripetibile e contingente, usando il buon senso, che è poi il senso buono del proprio agire, l’etica come strumento di scelta logica. Certo, con strumenti di amplificazione delle nostre capacità saremo migliori. Sbaglieremo di meno, saremo più efficaci nel curare, e più efficienti e sicuri nelle scelte. L’intelligenza artificiale è al servizio della nostra capacità umana. Va maneggiata con cura, in maniera intelligente.
*Medico e Presidente dell’Enpam