Giorgio Znacovan:«Suonando l'Inno di Mameli al sassofono ho guidato la mano di chi mi asportava il tumore dal cervello»

Giorgio Znacovan:«Suonando l'Inno di Mameli al sassofono ho guidato la mano di chi mi asportava il tumore dal cervello»
di Giovanni Del Giaccio
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Giovedì 10 Novembre 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 00:29

Il viaggio in Italia, venti anni fa, con l’intenzione di studiare musica.

La permanenza nel nostro Paese, oggi, con una speranza di vita diversa, dopo un’operazione al cervello “da sveglio” e suonando il suo amato sassofono.

Giorgio Znacovan ha 37 anni, è originario della Moldavia ma ormai italiano di adozione. Di suonare non ha mai smesso da quando è qui, nemmeno sul tavolo operatorio, passando dalle cerimonie alle serate con la sua “Formatia Favorit” che offre musica balcanica della tradizione.

E quale musica ha scelto per l’intervento?

«Quando mi è stato chiesto di suonare mentre mi operavano perché così avrebbero visto bene dove intervenire, ho scelto l’Inno di Mameli - racconta con un po’ di emozione - perché siamo in Italia e perché questo Paese mi ha dato la possibilità di fare un intervento che era considerato impossibile da molti. Poi ho intonato anche Love Story». A operare, ironia della sorte, è stato un cervello “di ritorno”: Christian Brogna, neurochirurgo che dopo anni in giro per il mondo tra Stati Uniti, Sudamerica, Turchia e dieci anni a Londra, adesso opera a Roma, al Paideia international hospital. Lì si sono conosciuti con Giorgio, lì è stato preparato ed eseguito il delicato intervento. Operato il lunedì e dimesso il giovedì, Giorgio è tornato a suonare in pubblico il sabato della settimana successiva. La storia inizia molto prima, 12 anni fa, quando per i frequenti mal di testa il musicista si sottopone a una risonanza magnetica alla testa. Spunta un “glioma di basso grado”, un tumore a lentissima crescita del cervello che ha origine dalle cellule di sostegno dei neuroni, dette gliali.

Una scoperta terribile. Cosa ha fatto?

«Mi dissero che avevo tre mesi di vita, a quel punto ho iniziato a girare l’Italia ma tutti dicevano che si trattava di un tumore non operabile e dovevo godermi la vita. Sono andato avanti, sono nati i miei figli Giorgia e Francesco, il mal di testa rispondeva ai normali antidolorifici. Poi a dicembre dello scorso anno la risonanza ha mostrato un aumento di 2 centimetri del glioma, rischiavo di compromettere funzioni della mobilità articolare e del linguaggio».

E poteva essere operato stavolta?

«Sì, ma io avevo paura di restare sotto i ferri, di essere addormentato e non svegliarmi più».

Come è arrivato a scoprire che era possibile farlo da sveglio?

«Con il passaparola, un amico in comune mi ha suggerito il dottor Brogna, l’unico a dirmi che si poteva fare l’intervento anche da sveglio».

Come si è sentito quando è entrato in sala operatoria?

«Ero tranquillissimo, mai avuto dubbi su quello che andavo a fare, il fatto di poter suonare e guidare l’équipe mi ha dato maggiore forza, avrei fatto quello che mi piace in un momento delicato della mia vita».

Paura di non farcela?

«Mai, anzi il mio messaggio è che si può essere operati da svegli in tutta tranquillità».

È il neurochirurgo Christian Brogna a spiegare bene il perché di questo intervento: «Non sarei mai intervenuto addormentandolo perché insieme all’équipe non avremmo potuto testare il linguaggio, gli aspetti neurocognitivi, la memoria.

Farlo suonare durante l’operazione è servito a indicare dove si potesse intervenire e dove non a seconda dell’afflusso di sangue. Il tutto di fronte agli 85 miliardi di neuroni e al trilione di connessioni del cervello “visibili” grazie a un’anestesia locale su specifici blocchi nervosi e sulla parte da incidere. Il cervello, di suo, non ha recettori del dolore». Il rapporto con il suonatore è stata fondamentale. «Le confesso: abbiamo dovuto imparare gli spartiti per capire se Giorgio stesse sbagliando». Ma tutta l’équipe - dall’aiuto neurochirurgo Antonella Bua al neuroanestesista Filomena Musolino, dalla neuropsicologa Federica Rizza alla neurofisiologa Nada Ibrahim - ha fatto una preparazione ad hoc. «Era importante sapere chi fosse e cosa facesse, in cosa eccellesse, le sue aspettative - continua il dottor Brogna - Durante l’operazione dovevamo rispettare gli “hub” e le connessioni che di volta in volta, a seconda di quello che diceva o suonava Giorgio, si presentavano ai nostri occhi». E il risultato è stato l’asportazione totale del tumore. «Si è lasciato intatto il paziente che era l’obiettivo iniziale e deve essere quello di chi interviene, sempre. Non ci sono operazioni di routine, ma casi più o meno complessi e tu devi sempre pensare di fare il meglio per chi stai operando, ciascuno dei quali è diverso e deve avere il massimo possibile in quel momento».

E ora a un mese dall’operazione come è cambiata la sua vita?

«So che il tumore non c’è più e sono grato a chi mi ha operato, ho scelto di prendere più tempo per la famiglia, accompagno i figli a scuola, discuto con mia moglie, suono e se mai Dio dovesse darmi un’altra prova da affrontare, mi farei operare solo da sveglio».

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