Covid, c’è una nuova emergenza: oltre 15mila professionisti italiani sono in pieno burn-out

Covid, c’è una nuova emergenza: oltre 15mila professionisti italiani sono in pieno burn-out
di Valentina Arcovio
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Giovedì 12 Maggio 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 08:35

Revocate quasi tutte le misure antivirus e una gran voglia di archiviare l’emergenza anche se la contagiosità di Omicron fa paura, la quarta dose non decolla e dagli Usa arriva persino l’allarme di altri cento milioni di nuovi casi in autunno.

E questo mentre si scopre che l’esercito di camici bianchi che dovrebbe combattere una nuova ondata è esso stesso battuto dal Covid. Oltre 15 mila medici italiani soffre di disturbi del sonno, stress, ansia, paura: medici in pieno burn-out, una sindrome che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce «come conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro non gestito con successo».

I DATI

L’indagine conoscitiva “La condizione dei medici a due anni dall’inizio della pandemia”, condotta dall’Istituto Piepoli per conto della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), presenta un quadro desolante. Secondo i risultati, a essere colpiti dalla sindrome da burnout è un medico di famiglia su 10, una guardia medica su 4, il 4 per cento dei medici ospedalieri e il 3 per cento degli odontoiatri. Sono tantissimi. Troppi per poter sperare che non ci siano effetti sul Servizio sanitario nazionale e, di conseguenza, sulla cura e sull’assistenza ai pazienti. Senza contare il fatto che i casi rintracciati dall’indagine della Fnomceo non sono tutti. «Secondo una metanalisi condotta su 55 studi pubblicati sui disturbi a carico dei medici dopo il primo anno di pandemia - dice il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli - una percentuale significativa di colleghi sta sperimentando alti livelli di sintomi di depressione e ansia». La prevalenza di depressione e ansia nei sanitari è rispettivamente del 20,5 per cento e del 25,8 per cento. «I medici sono in difficoltà - sottolinea Anelli - Le criticità che già affliggevano la professione, la carenza di personale, i mancati investimenti, la mentalità aziendalista volta a far quadrare i bilanci più che a definire obiettivi di salute, sono state acuite dall’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia». I campanelli d’allarme del burnout di un medico sono principalmente tre: esaurimento fisico e psicologico, mancanza di relazione di cura con il paziente, bisogno di fuggire e allontanarsi dalla propria vita. «Già prima della pandemia - afferma lo psicoterapeuta Giorgio Nardone che ha realizzato, in collaborazione con Consulcesi, una serie di corsi rivolti a medici e operatori sanitari - questo disturbo legato alla sfera professionale era in crescita in ambito medico-sanitario. In periodo di emergenza Covid-19 sta assumendo proporzioni enormi. Spesso i medici e gli operatori sottovalutano la loro condizione, molti lavorano senza sosta e non hanno il tempo né la possibilità di recupero dallo stress e dalla stanchezza. Gli ospedalieri, per esempio, sono costantemente sotto pressione. Tutto questo si è aggiunto a carenze croniche della professione come turni massacranti, mancanza di dispositivi e di personale».

EFFETTI

Un’altra indagine, condotta fra i medici lombardi dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca per Anaao-Assomed Lombardia, tra novembre 2021 e marzo 2022, conferma l’allarme. Ebbene, dai risultati è emerso che più del 70 per cento dei medici indagati sospetta di aver sofferto di burn-out, mentre il 60 per cento teme di poterne soffrire in futuro. A essere colpito maggiormente della condizione di burn-out è il sesso femminile, che riportano più frequentemente sintomi come ansia, depressione e una percezione bassa di autoefficacia. Quest’ultimo elemento è condiviso con gli specializzandi. Infatti, una maggior anzianità di servizio risulta essere un fattore protettivo, a cui vengono associati livelli più bassi di burnout, ansia e depressione.

I NODI

Non da ultimo, l’87,4 per cento dei medici lombardi dichiara come la pandemia e l’avvento della quarta ondata pandemica abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo, nonostante il servizio in area Covid-19 non sia un fattore di per sé associabile a maggiori livelli di burn-out, ansia o depressione. Ad impattare maggiormente sono invece le variabili soggettive percepite, quali la vicinanza dei propri cari che hanno avuto gravi complicazioni legate all’infezione. «Quasi il 20 per cento dei medici lombardi accusa sintomi riconducibili al burnout, mentre più del 30 per cento ansia e depressione di significato clinico. È un dato allarmante», dichiara Stefano Magnone, segretario regionale di Anaao-Assomed Lombardia. «Le problematiche causate dall’espansione a macchia d’olio di questo fenomeno sono state largamente discusse negli ultimi tempi, aumentando la consapevolezza anche tra chi non è direttamente coinvolto nell’ambito sanitario. Lo stress lavorativo cronico, o sindrome del burn-out, insorge - continua - quando le richieste del lavoro superano le capacità del lavoratore di affrontarle, intaccando la salute psicofisica dell’individuo. I medici sono i professionisti maggiormente a rischio di burn-out, specialmente il sesso femminile. A peggiorare le condizioni lavorative, oltre alla carenza di risorse e ai ritmi lavorativi isterici in cui siamo costretti, è stata la pandemia: l’87,4 per cento dei medici lombardi dichiara come la pandemia abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo».

SOLUZIONI

«Sorge spontanea la domanda: chi cura i curanti?», si chiede Anelli. «La perdurante mentalità aziendalista che pervade il nostro Ssn, tutta concentrata solo sui risultati economici, non ha permesso di mettere in atto – continua - iniziative tese a rilevare questo drammatico fenomeno, né tanto meno a interrogarsi su come prevenirlo e affrontarlo. Per questo chiediamo, tra l’altro, il riconoscimento del burnout come malattia professionale». Le richieste dei medici sono sintetizzate in un “Manifesto”: 20 punti per un progetto di rilancio del Ssn che superi le disuguaglianze e disomogeneità nelle diverse aree del Paese. A sottoscriverlo 15 sigle sindacali di categoria. L’insofferenza cresce anche tra gli infermieri, molti dei quali hanno deciso di abbandonare il settore pubblico per quello privato. O addirittura di fuggire dal Paese per esercitare in altri, come la Svizzera. Non solo per i maggior vantaggi economici, ma anche nella speranza di poter lavora più serenamente possibile. Ma dal burnout non si può scappare. Si affronta e per questo, associazioni e sindacati, chiedono specifiche azioni che vadano in soccorso degli operatori sanitari. Un salvagente per loro è un salvagente per tutta la comunità.

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