Amore e sesso, ecco la generazione dei fluidi. L'endocrinologa Salerno: «Aiutare le famiglie» Ecco il vademecum

Amore e sesso, ecco la generazione dei fluidi. L'endocrinologa Salerno: «Aiutare le famiglie» Ecco il vademecum
di Maria Pirro
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Giovedì 10 Novembre 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 00:30

Identità fluide e incomprese.

Figlie del nuovo mondo liquido, non più suddiviso in schemi. Così Francesco, o Francesca, ha detto alla mamma che si sente maschio, ma anche femmina. E ha scatenato il timore, e il dispiacere, che lui sia non solo smarrito, ma non più il bambino stretto tra le braccia al momento della nascita. Non è l’unico: i suoi coetanei hanno le stesse incertezze. Molto più dei ragazzi e delle ragazze delle generazioni precedenti, si dichiarano anche pronti a innamorarsi: di una «persona», a prescindere dal sesso. L’orientamento può fluttuare, gli adolescenti vogliono sperimentare: un vero fenomeno sociale che sembra aumentare di anno in anno. Ma a volte è un atteggiamento passeggero tipico dell’età magari solo per sentirsi accettati dal gruppo, altre volte invece per dare una risposta ai loro dilemmi.

I SENTIMENTI

 Ad ascoltarli i genitori provano, però, emozioni contrastanti: paura, vergogna, imbarazzo, rabbia, sensi di colpa. «Si chiedono - e ci chiedono - cosa possono aver fatto per determinare il disagio. Sono spaventati dalla scarsa conoscenza del fenomeno e dall’esposizione al giudizio sociale: avvertono di aver perso il proprio bimbo o quel bimbo che avevano idealizzato, spesso confondono identità di genere e omosessualità», dice la psicologa e psicoterapeuta Alessandra Delli Veneri che lavora nell’unico consultorio familiare specializzato aperto da una Asl (la Napoli 3 Sud), InConTra a Portici che ha il bollino blu del ministero della salute per la qualità dei servizi e anche una operatrice trans, Lourdes Falanga. Ma, sottolinea l’esperta, questa condizione non è una malattia, anzi. Può aiutare a rafforzare il legame con i figli. Come? «Sostenendoli, senza farli sentire inadeguati. Trasmettendo fiducia e serenità, quando parlano di sé stessi», suggeriscono madre e figlio 16enne che hanno già affrontato l’argomento (loro il vademecum nel riquadro). «Dobbiamo aiutarli innanzitutto a capire: non curarli, per questo non li chiamiamo mai “pazienti”», rimarca Mariacarolina Salerno, presidente della Società italiana di Endocrinologia e diabetologia pediatrica. La professoressa della Federico II è responsabile del centro universitario per intraprendere un percorso di transizione, ma avvisa: «I pediatri dovrebbero essere i primi a saper indirizzare le famiglie, non sempre sono adeguatamente formati. Per questo, abbiamo organizzato un corso, il 16 novembre, in collaborazione con l’Ordine dei medici di Napoli». «Rimane la difficoltà a parlarne con gli adulti», afferma Raffaella de Franchis, pediatra e consigliere dell’Ordine, tra i promotori dell’iniziativa.

L’AGGIORNAMENTO

Non è semplice per un medico essere al passo, figurarsi per una mamma cresciuta nel secolo scorso. La prima regola per i genitori è: ascoltare e informarsi, prestando attenzione anche ai termini usati. L’identità sessuale si compone infatti di quattro dimensioni: quella biologica, che si stabilisce al momento della nascita («È un maschietto» oppure «è una femminuccia»), l’identità di genere, l’orientamento sessuale e affettivo e il ruolo di genere (molto stereotipato, un bimbo non può giocare con Barbie; la bimba a pallone). «L’intreccio tra le quattro dimensioni», afferma Delli Veneri, «determina qualcosa di unico: consiste nell’esperienza che ognuno di noi fa di sé stesso e della relazione con gli altri». E le modifiche del corpo, durante la pubertà, fanno esplodere dubbi e sofferenza. «Siamo abituati a concepire l’identità sessuale in una prospettiva binaria: uomo-donna, etero-omosessuale, bianco-nero», rimarca Paolo Valerio, presidente dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere e promotore del convegno internazionale, “Salute e benessere delle persone transgender e gender diverse: buone prassi e nuove prospettive”.

Lui invita a tenere conto di una gradualità di colori: «Ciascuno di noi possiede parti maschili e parti femminili, che possiamo esprimere nei comportamenti quotidiani, che dobbiamo imparare a riconoscere e con cui dobbiamo convivere. La società deve saper accoglierle». La prevalenza della disforia (cioè il disagio provato da alcune persone che non si riconoscono con il sesso/genere assegnato alla nascita) oscilla tra lo 0.6 e l’1.7 per cento; l’Italia non fa eccezione. «Resta molto da fare», insiste Valerio.

IL VADEMECUM 

1. Sostenere i propri figli e le proprie figlie e non farli sentire inadeguati

2. Prestare attenzione ai termini usati per evitare di urtare la loro sensibilità

3. Trasmettere loro fiducia e serenità, quando parlano di se stessi e della loro identità sessuale

4. Non sottovalutare mai o sminuire quello che dicono a proposito del loro modo di essere e sentire

5. Informarsi sul percorso da seguire, consentendo ai ragazzi un sostegno anche psicologico, se serve. L’elenco dei centri si può trovare al link www.infotrans.it, il portale realizzato dall’Istituto superiore di sanità con l’Unar, l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali

6. Rispettare la scelta dei propri figli

7. Non confondere mai l’orientamento sessuale con l’identità di genere

8. Costruire un dialogo che sia costante e reciproco

9. Essere orgogliosi del coraggio e della determinazione del proprio figlio o della propria figlia, difendendo le loro scelte senza pregiudizio, e aiutandoli a combattere quello degli altri

10. Condividere la propria esperienza con altri genitori con esperienze simili per sentirsi meno soli

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