Vaccino, basta una dose? Effetti positivi nel breve, poi aumento contagi. Lo studio su Science

Vaccino, basta una dose? Effetti positivi nel breve, poi aumento contagi. Lo studio su Science
di Francesco Padoa
8 Minuti di Lettura
Mercoledì 10 Marzo 2021, 16:47 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 00:08

Un nuovo studio pubblicato su Science sulla somministrazione dei vaccini chiarisce un aspetto importante: vaccinare più persone con una dose ritardando la seconda può avere sull'immediato un effetto positivo ma alla lunga potremmo trovarci in una situazione di contagio più diffuso. «La somministrazione di singole dosi in contesti di emergenza (es. Aumento delle infezioni) è benefica a breve termine - si legge nelle conclusioni della ricerca firmata da un team di ricercatori inglesi guidato dal prof. Chadi M. Saad-Roy - e riduce la prevalenza. Inoltre, troviamo che se l'immunità dopo una singola dose è robusta, anche ritardare la seconda dose è ottimale da una prospettiva epidemiologica a lungo termine. D'altra parte, se l'immunità vaccinale a una dose è debole, il risultato potrebbe essere più pessimistico; in particolare, una strategia vaccinale con un periodo inter-dose molto lungo potrebbe portare a benefici marginali a breve termine (una diminuzione del carico a breve termine) al costo di un carico di infezione più elevato a lungo termine e un potenziale sostanzialmente maggiore di evoluzione virale . Questi effetti negativi a lungo termine possono essere alleviati dall'eventuale somministrazione di una seconda dose, anche se moderatamente ritardata».

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Undici vaccini approvati da almeno un Paese

Mentre la pandemia della sindrome respiratoria acuta grave coronavirus continua, la distribuzione di vaccini sicuri ed efficaci rappresenta un intervento chiave per mitigare la gravità e la diffusione della malattia. Al momento undici vaccini sono stati approvati da almeno un Paese. La ricerca si concentra principalmente sui vaccini di Pfizer/BioNTech, Moderna e Oxford/AstraZeneca.

I primi due suscitano immunità contro SARS-CoV-2 in risposta all'introduzione di molecole di acido ribonucleico messaggero (mRNA) e sembrano offrire più del 95% (Pfizer / BioNTech approvato in 60 paesi) e 94% (Moderna approvato in 38 paesi) di protezione contro la malattia. Entrambi questi vaccini mRNA sono stati testati in studi clinici secondo un regime a due dosi con distanziamento tra le dosi rispettivamente di 21 e 28 giorni. Il vaccino Oxford/AstraZeneca utilizza un vettore di adenovirus non replicante ed è stato anche testato in studi clinici secondo un regime a due dosi con un periodo tra le dosi di 28 giorni (sebbene per ragioni logistiche alcuni partecipanti allo studio abbiano ricevuto la loro seconda dose dopo un ritardo di almeno 12 settimane). Gli studi clinici hanno indicato un'efficacia del 62%-90% per questo vaccino in base alla dose specifica somministrata.

Seconda dose ritardata

Poiché questi vaccini sono stati distribuiti a livello internazionale, diversi paesi tra cui il Regno Unito e il Canada hanno scelto di ritardare la seconda dose nel tentativo di aumentare il numero di individui che ne ricevono almeno uno o in risposta a vincoli logistici. Sebbene un certo numero di partecipanti abbia abbandonato dopo una singola dose del vaccino negli studi Pfizer/BioNTech e Moderna, questi studi non sono stati progettati per valutare l'efficacia del vaccino in tali circostanze e Pfizer ha affermato che non ci sono prove che la protezione del vaccino da una dose singola si estenda oltre i 21 giorni, sebbene altri dati dipingano un quadro più ottimistico. Gli studi clinici di Oxford/AstraZeneca includevano diversi intervalli di dose e prove limitate suggeriscono che intervalli più lunghi (da due a tre mesi) non hanno influenzato e potrebbero persino avere migliorato l'efficacia del vaccino. In definitiva, le conseguenze della deviazione dai regimi di dosaggio prescritti dal produttore rimangono sconosciute, e dipenderanno dalle risposte immunitarie.

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Cosa prevede la Gran Bretagna

La politica britannica e canadese prevede una seconda dose ritardata; non mirano a una politica "esclusivamente" monodose. Tuttavia, gli esperti esplorano la strategia a una dose come un caso estremo per i vaccini "a due dosi"; comprende anche una situazione pessimistica di diminuzione della fiducia del pubblico nella vaccinazione e nelle decisioni degli individui di rinunciare alla seconda dose. Infine, questa politica di una dose potrebbe catturare vaccini che richiedono solo una singola dose, ad esempio il vaccino Johnson & Johnson. Come previsto, la ricerca trova vantaggioso il dispiegamento più ampio di dosi molto distanziate. In particolare, una strategia a una dose (o un periodo più lungo tra le due dosi) può portare a un picco epidemico sostanzialmente ridotto di casi dopo l'inizio della vaccinazione. Tuttavia, in queste condizioni di immunità imperfetta, una strategia esclusivamente monodose porta quindi a un picco successivo più precoce dovuto all'accumulo di individui parzialmente suscettibili. Quando la velocità di somministrazione della prima dose è molto alta, questo picco di infezione successivo potrebbe essere maggiore di quello previsto nello scenario senza vaccinazione. In generale, l'accumulo di individui parzialmente suscettibili con immunità vaccinale a una dose diminuita può essere mitigato implementando una strategia a due dosi e riducendo il tempo tra le dosi. Pertanto, in situazioni di una prima dose meno efficace in cui la seconda dose è ritardata, è importante assicurarsi che gli individui alla fine ottengano la loro seconda dose.

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La circolare di Rezza

Questo studio arriva proprio pochi giorni dopo che il ministero della Salute ha dato il via libera alla possibilità di somministrare un' unica dose di vaccino anti-Covid, senza dunque effettuare alcun richiamo, ai soggetti che hanno già avuto un'infezione da virus SarsCov2. L'indicazione è contenuta in una nuova circolare firmata dal direttore della Prevenzione del dicastero Giovanni Rezza, ed in questa direzione di erano già espressi sia il Consiglio superiore di sanità sia l'Agenzia italiana del farmaco. L'assunto di base è che i soggetti che abbiano già contratto l'infezione e ne siano guariti abbiano al contempo sviluppato anche una certa immunità. Da qui la possibilità di non effettuare la seconda dose e di ricevere la prima ad una certa distanza di tempo dall'infezione. La circolare chiarisce infatti che «è possibile considerare la somministrazione di un'unica dose di vaccino» anti-Covid-19 nei soggetti con «pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica)», «purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa». La possibilità di un' unica dose non vale, però, per i soggetti con particolari problemi di salute: «Ciò non è da intendersi applicabile - precisa infatti il ministero - ai soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici».

La posizione del ministero

In questi soggetti, non essendo prevedibile la protezione immunologica conferita dall'infezione da SARS-CoV-2 e la durata della stessa, si raccomanda dunque di proseguire con la schedula vaccinale proposta, ovvero la doppia dose per i tre vaccini a oggi disponibili. Le raccomandazioni della nuova circolare sono tuttavia modificabili ed il ministero sottolinea che «potrebbero essere oggetto di rivisitazione qualora dovessero emergere e diffondersi varianti di SARS-CoV-2 connotate da un particolare rischio di reinfezione». Grazie alla possibilità di evitare il richiamo per la platea dei soggetti che hanno già contratto SarsCov2 si potranno dunque guadagnare dosi che potranno essere destinate ad altri soggetti prioritari. Ma anche la possibilità di posticipare la prima e unica dose ai guariti in un arco fino a 6 mesi consentirà di reindirizzare un certo numero di vaccini verso altre categorie ritenute prioritarie.

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Cosa sostiene Galli

Un aspetto importante in favore del quale si erano pronunciati nelle scorse settimane anche vari medici. A partire da Massimo Galli, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, per il quale addirittura avrebbe «poco senso convocare due volte chi si è ammalato ed è guarito, perchè possiede già una memoria immunologica». In Italia, ha ricordato, «abbiamo due milioni di persone che sanno con certezza di aver passato l'infezione, altri due milioni probabilmente lo ignorano, ma hanno prodotto anticorpi, sono entrati in contatto con il virus Sars-Cov-2 senza accorgersi. Io dico che basterebbe un test con pungidito». Nella circolare si sottolinea inoltre che poiché l'informazione relativa a una pregressa infezione da SARS-CoV-2 viene raccolta al momento della vaccinazione attraverso un modello di autocertificazione, «si raccomanda di raccogliere, ogni qualvolta disponibile, evidenza di documentata infezione da SARS-CoV-2. In assenza di questa evidenza di positività al tampone, si raccomanda che l'informazione anamnestica relativa a una pregressa infezione venga raccolta nel modo più completo e dettagliato possibile». Inoltre, come da indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'esecuzione di test sierologici volti a individuare la positività anticorpale nei confronti del virus o di altro tipo di test, «non è raccomandata - si legge nel documento - ai fini del processo decisionale vaccinale».

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