Rapporto Censis: «La sanità è troppo cara». In undici milioni non si curano

di Silvio Garattini
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Giovedì 9 Giugno 2016, 01:10
Il rapporto annuale del Censis, anticipato oggi in alcune sue parti dalle agenzie di stampa, mostra una situazione di deterioramento del Servizio Sanitario Nazionale. In attesa di poter avere a disposizione l’intero rapporto può essere opportuno anticipare alcuni dati che suonano veramente allarmanti. Ben 11 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare alle cure per problemi economici che in altre parole significa mancanza di soldi per pagare il ticket sui farmaci, sulle analisi di laboratorio o sulle visite mediche. Sono 2 milioni in più rispetto al 2012 e riguardano soprattutto i giovani e gli anziani. Per coloro che possono pagare i ticket, che sono divenuti in molti casi eccessivi perché sono eguali o addirittura superiori alle stesse prestazioni che si possono ottenere nelle strutture private, circa 5,4 milioni di cittadini dichiarano di aver ricevuto cure inutili, ma nella maggioranza dei casi non vogliono sanzioni ai medici ritenendo che la colpa sia del decreto sulla appropriatezza degli interventi, un dato che depone per la scarsa abilità di comunicazione del Ministero della Salute.

Altro punto dolente è rappresentato dalle liste d’attesa che tendono sempre di più ad allungarsi a tempi che sono certamente incompatibili con una forma di buona sanità. Ben il 72 per cento delle persone che si sono rivolte a strutture private lo hanno fatto a causa dei tempi d’attesa proposti dal servizio pubblico. Inoltre più di 7 milioni di italiani sono ricorsi all’intramoenia, l’attività privata del Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta di una situazione scandalosa: «Devi attendere se non hai risorse economiche, ma se puoi pagare con le stesse apparecchiature, gli stessi medici e nelle stesse strutture puoi essere curato a distanza di pochi giorni». Naturalmente non bisogna dimenticare che nei giudizi non si può ignorare la grande differenza che esiste fra le varie Regioni. Basti considerare che l’insoddisfazione passa dal 70 per cento nelle Regioni del Sud al 33 per cento nel Nord-Est. È chiaro a tutti che questo non è il modello equo e universalistico, conquista sociale irrinunciabile da parte dei cittadini sancito dalla legge di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Piangere sulla situazione attuale non porta molto lontano.


 
È invece importante cercar di capire cosa si può fare tenendo conto che nessuno ha voglia di ritornare ad un sistema assicurativo parziale o totale. Per essere efficaci occorre anzitutto non guardare solo a tappare i buchi con una visione a breve termine, ma essere capaci di programmare con un occhio al futuro che sarà fatto prevalentemente di polimorbilità cronica a causa della tendenza all’invecchiamento della nostra popolazione. Non si ripeterà mai a sufficienza l’importanza di tutte le attività di prevenzione che riguardano l’intera società. Si devono ridurre le malattie che non piovono dal cielo, ma sono il frutto dei nostri cattivi stili di vita e delle influenze ambientali. Puntare sulla prevenzione vuol dire diminuire di almeno il 50 per cento le malattie croniche, quelle che richiedono il maggior consumo di risorse. In secondo luogo è importante fornire ai cittadini solo ciò che in base alle conoscenze scientifiche ha una dimostrazione di un favorevole rapporto benefici-rischi e a parità di condizioni ciò che costa meno. In questo senso occorre introdurre rapidamente il concetto di costo unitario per tutto il Paese, evitando sprechi per trovare miliardi da destinare prevalentemente al miglioramento delle liste d’attesa.

Fra gli sprechi oltre ai farmaci, ai dispositivi medici, alle piccole strutture ospedaliere, non bisogna dimenticare la inutile complessità delle procedure amministrative.
Occorre poi disinvestire trasferendo le risorse per interventi poco efficaci verso quelli più risolutivi. I Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) devono essere rivisti tenendo presente che spesso riguardano interessi che nulla hanno a che fare con la prevenzione, la terapia o la riabilitazione. I cittadini non hanno diritto a tutto, ma solo a ciò che è dimostrato essere utile alla salute e devono anche essere stimolati ad evitare cattive abitudini di vita. Infine non bisogna dimenticare che nel medio-lungo termine la ricerca sanitaria è la migliore spending review perché permette di identificare trattamenti e sistemi organizzativi ottimali. La ricerca serve anche per trovare le migliori vie di comunicazione. Le autorità ministeriali e regionali parlano troppo poco con i cittadini. Se spiegassero in modo chiaro e non in politichese, le ragioni e le difficoltà di condurre un’attività così complessa come quella che riguarda la salvaguardia della salute, troverebbero più facilmente la comprensione e l’aiuto dei cittadini, condizione indispensabile per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.
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