Tumore ai polmoni, racconto choc di un regista: «Non mi avevano dato speranze, a Milano mi hanno salvato»

Tumore ai polmoni, racconto choc di un regista: «Non mi avevano dato speranze, a Milano mi hanno salvato»
di Maria Lombardi
3 Minuti di Lettura
Giovedì 4 Febbraio 2021, 12:47 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 18:55

I medici di Sarajevo nel 2018  non gli avevano dato speranze: tumore ai polmoni incurabile, le resta poco tempo. Šemsudin Gegić, drammaturgo bosniaco, regista teatrale pluripremiato, cronista di guerra durante il conflitto nell’ex Jugoslavia, decide di combattere. Su consiglio della figlia Emina, si reca a Milano per avere una seconda diagnosi e filma la sua storia. Lascia la sua terra per curarsi,  presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, il suo caso è anche oggetto di studi. La malattia, la cura, il dolore, l'espatrio, la battaglia, il ritorno alla vita: un percorso di sofferenza e speranza che diventa un documentario, Nel combattimento balla, scritto e diretto da Gegić, prodotto da Ultraspecialisti con il contributo di Roche Italia.

La patologia di Šemsudin Gegić viene studiata e curata.

L’attenzione del personale medico, insieme a quella dei connazionali e degli amici  diventa, infatti, la forza di Šemsudin Gegi , costretto ad accettare l’espatrio definitivo, per poter vivere a Milano e potersi curare.  «Potrei definire Nel combattimento balla un film sull’autopsia della mia anima, un’autopsia però senza anestesia», dice il regista. «La telecamera è un ago che si è infilato, sprofondando nelle viscere della mia esistenza. Come avviene nella biopsia medica, è contrassegnata da tre marcatori. Il primo marker sono i medici, il secondo è la famiglia, il terzo è la mia arte, i miei amici e i miei colleghi.  Finora sono stato conosciuto come regista, grazie ai miei personaggi teatrali e ai miei documentari. Ora con questo film autobiografico posso dire di aver incontrato non i miei personaggi ma me stesso. Mi sono interrogato più volte. Avviene spesso quando ci si ammala. Posso dire ora, utilizzando i versi del poeta Rumi, che il mio sangue danza in modo creativo e combatte per salvare la mia vita»

I medici

«Come medico ho esitato nel partecipare al film di Šemsudin Gegi», racconta  Vanesa Gregorc Direttore del Programma Strategico Innovazione Diagnostico-Terapeutica Oncologica IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Poi ho compreso quanto fosse importante. Šemsudin si era affidato a me come paziente e ho compreso che anche io avrei dovuto affidarmi a lui come regista. La Giornata Mondiale contro il Cancro del 4 febbraio ci aiuta a riflettere su quanto siano state straordinarie le innovazioni terapeutiche e diagnostiche nel campo della patologia del cancro: si sono aperti scenari inimmaginabili. Abbiamo compreso come l’innovazione terapeutica debba essere sempre accompagnata da un team multidisciplinare e come sia fondamentale l’alleanza medico-paziente».

«L’incontro con Šemsudin Gegić è avvenuto nel 2018», spiega la professoressa Nadia Di Muzio, primario dell’Unità di Radioterapia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Il ritorno alle possibilità di una vita migliore, nonostante la sua malattia, è stata fonte di ispirazione per il film al quale ho sentito il dovere di partecipare. Volevo dare insieme al regista un messaggio di speranza perché le cure, le competenze, la ricerca possono dare grandi risultati. Il film vuole veicolare questo messaggio di ritorno alla vita: la storia di Šemsudin è emblematica perché fa comprendere che è possibile guarire anche quando la malattia sembra senza senza speranza: questo è un messaggio che a mio avviso deve essere dato a tutti i malati proprio nella Giornata Mondiale di lotta contro il cancro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA