Coronavirus, terapie e test rapidi, la sfida dei ricercatori: «Ma nessun miracolo»

Coronavirus, terapie e test rapidi, la sfida dei ricercatori: «Ma nessun miracolo»
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Lunedì 23 Marzo 2020, 07:36 - Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 18:46

I farmaci che vengono utilizzati oggi per curare chi è affetto dal Covid-19 sono tutti sperimentali. Non esistono dunque ancora terapie prodigiose, ma solo trattamenti la cui efficacia si sta ancora testando. È questo il caso per esempio del Favipiravir (Avigan), un antivirale usato in Giappone per trattare nuovi ceppi influenzali, la cui sperimentazione in Italia partirà dal Veneto.

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Per quanto riguarda altri trial, sia quelli in corso sia quelli futuri - come ha fatto sapere il presidente dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, Domenico Mantoan - già nel giro di un mese si potranno avere «le prime indicazioni sull'efficacia clinica dei farmaci». Per la sperimentazione italiana, saranno comunque individuate «dal Comitato etico le modalità con cui i pazienti potranno aderire».

Intanto, per curare le persone già contagiate, come spiega Claudio Mastroianni, direttore della clinica malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma, oggi si utilizzano farmaci che «quantomeno tendono ad arrestare la progressione della malattia e poi farmaci che possono evitare l'intubazione e quindi il ricovero in terapia intensiva. Si tratta di antivirali che - spiega - già utilizzavamo per altre malattie, tipo quelli usati contro il virus dell'hiv, anche se un trial clinico ha dimostrato che con questa terapia non c'è un grosso vantaggio sulla mortalità. Il problema vero è che però ancora mancano i dati che quantificano il grado di replicazione virale».

IMMUNIZZANTI
Esiste poi un farmaco non antivirale ma immunomodulante, la Clorochina, già utilizzata per altre malattie virali, che «ha un'azione antivirale, appunto, ed è ideale soprattutto nelle fasi iniziali della malattia». Se il virus invece «ha fatto già il suo danno, ed è già in atto tutta la risposta infiammatoria, con rilascio di sostanze che danneggiano il polmone, in quel caso dobbiamo intervenire con altri tipi di farmaci che non agiscono sul virus, ma bloccano questa cascata di citochine». È il caso del tocilizumab, il farmaco usato per l'artrite reumatoide, la cui sperimentazione, partita dall'ospedale Cotugno di Napoli, ora sta dando risultati incoraggianti anche sul 60 per cento dei pazienti trattati al Policlinico Umberto I di Roma. «Agiscono con lo stesso meccanismo poi anche altri farmaci cosiddetti biologici. Si sta lavorando inoltre sulla ricerca di anticorpi monoclonali, che bloccano il virus. È chiaro - rimarca Mastroianni - che sarebbero però interessanti farmaci che bloccano la replicazione, ossia impediscono che il virus si leghi ai recettori degli alveoli polmonari dove il virus stesso agisce».

Per i pazienti più gravi, serve poi il supporto con ossigenoterapia. Il modo più sicuro per curare i contagiati è comunque intervenire il prima possibile, per cercare di abbattere più precocemente possibile la carica virale, proprio subito dopo il contagio, quando compaiono i primi sintomi. «La cura essenziale per controllare la malattia restano comunque ancora oggi isolamento e quarantena. Se riusciamo a rallentare il contagio, abbiamo più tempo per trovare una cura. Se arrivano tutti i malati all'improvviso, non c'è il tempo di organizzare anche delle sperimentazioni serie».

Intanto, la Regione Lazio e il Policlinico Gemelli di Roma stanno lavorando a «una importante sperimentazione di un test rapido», i cui risultati saranno disponibili in settimana. «In caso di esito positivo - fanno sapere dagli uffici di via Cristoforo Colombo - verrà somministrato innanzitutto agli operatori del Servizio sanitario regionale da mercoledì. A oggi il 20 per cento dei tamponi effettuati sono stati somministrati al personale sanitario: oltre 2.600».
 

 
 

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