Catania, bimba nata dopo il primo trapianto d'utero in Italia, si chiama Alessandra come la donatrice. La famiglia: «Come se fosse tornata a vivere»

Sesto caso al mondo. La mamma la vede in foto e si commuove

Catania, bimba nata dopo il primo trapianto d'utero in Italia, il prof. Scollo: «Madre e figlia stanno bene»
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Venerdì 2 Settembre 2022, 09:57 - Ultimo aggiornamento: 3 Settembre, 13:24

A Catania è nata la prima bimba in Italia dopo un trapianto d'utero, rappresenta il sesto caso nel mondo. Si chiama Alessandra, la figlia della donna che ha ricevuto il primo trapianto di utero realizzato in Italia. La paziente, risultata positiva al Covid, è stata sottoposta a parto cesareo dopo attacchi febbrili dovuti all'infezione. La piccola è nata prematura, alla 34esima settimana di gravidanza e pesa 1,7 kg. Madre e figlia sono ancora ricoverate in ospedale e sono stabili. Le loro condizioni sono definite «stabili» dai medici che le seguono.

 

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Nata dopo primo trapianto, Paolo Scollo, direttore del reparto di Ostetricia: «Soddisfatto dell'intervento»

«Il tentativo di fecondazione è andato a buon fine e la signora ha condotto una gravidanza regolare fino alla 30esima settimana quando ha contratto il Covid ed è stata pertanto ricoverata nella sezione della Ginecologia del Cannizzaro dedicata alle pazienti positive». Così Paolo Scollo, direttore del reparto di Ostetricia e ginecologia dell'ospedale Cannizzaro di Catania, Unità operativa complessa clinicizzata dell'università Kore di Enna, sul caso di Alessandra, la piccola nata dopo il primo trapianto di utero realizzato in Italia.

«L'infezione», spiega Scollo «è stata per un certo tempo asintomatica ma, qualche giorno fa, un episodio di febbre alta e conseguenti contrazioni ci ha indotto a procedere con un taglio cesareo». Il parto è così avvenuto alla 34esima settimana. «Madre e figlia», aggiunge «sono state quindi trasferite in terapia intensiva: la donna nel reparto adulti, la bambina nell'unità di Terapia intensiva neonatale, dove è sottoposta a terapia antibiotica, di prassi per i prematuri, e ad assistenza respiratoria non invasiva.

Entrambe si trovano in condizioni stabili».

«È stato un trapianto estremamente complesso», ricostruisce Pierfrancesco Veroux, professore ordinario di Chirurgia vascolare e trapianti dell'Università di Catania che ha eseguito l'intervento. «In questo caso l' utero, sin dal 'declampaggiò dei vasi, ha mostrato una grande vitalità che ha poi permesso grazie a una perfusione ottimale di 'viverè nella paziente e di portare a termine una gravidanza quanto mai attesa» ha concluso.

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LA FOTO - L'ha potuta vedere soltanto in foto, perché è ancora ricoverata nel reparto di Terapia intensiva, ma quando il marito le ha mostrato lo scatto della piccolissima bambina si è commossa per la felicità. È stata una gioia immensa quella della mamma di Alessandra. La paziente sta bene, riferiscono fonti mediche, e probabilmente domani potrebbe essere trasferita in un altro reparto Covid, perché ancora positiva anche perché sottoposta a terapia immunodepressiva per evitare il rigetto dell'organo ricevuto. La bambina respira in maniera assistita e non ha problemi con la coagulazione del sangue né al fegato. Al tampone Covid, alla nascita, è risultata negativa.

Il messaggio della mamma positiva al Covid

«Salve, sono in ripresa, mi sto riprendendo e non vedo l'ora di uscire per vedere la mia piccola ed abbracciarla»: così in un piccolo video la mamma di Alessandra, la piccola nata dalla donna che ha avuto il primo trapianto di utero in Italia da una paziente deceduta. La donna è ricoverata nel reparto di Rianimazione dell'ospedale Cannizzaro di Catania dove, pur essendo in buone condizioni generali di salute, resterà in osservazione fino a quando non sarà negativa al Covid.

Video

Il chirurgo: emozione infinita

«Ero presente al momento della nascita e il primo vagito di Alessandra è stata un'emozione infinita perché portiamo avanti questo programma da quasi sette anni e sentire quel pianto è stata un'emozione che va oltre qualunque aspetto scientifico e tecnico. Perché sapere che l'utero di una donna, ormai purtroppo deceduta da due anni, sia in grado di dare ancora la vita è una cosa che va oltre il possibile e l'inimmaginabile». Così Pierfrancesco Veroux, professore ordinario di Chirurgia vascolare e trapianti dell'università di Catania che ha eseguito l'intervento.

La famiglia della donatrice: «Come se fosse tornata a vivere»

«È come se Alessandra fosse tornata a vivere, una parte di lei rivive ancora, siamo felici anche noi». Così il marito della donna donatrice al padre di Alessandra. Lo racconta Giovanni, il neo-papà della piccola, in contatto con la famiglia della donatrice che ha perso la vita per un improvviso arresto cardiocircolatorio in un ospedale di Firenze due anni fa. «Sono felici come noi, stiamo condividendo tutto», aggiunge Giovanni, il padre della piccola Alessandra, che non «trova le parole per esprimere la gioia». «Ô un miracolo che si è avverato - aggiunge - e non riesco ad esprimere la felicità che provo. I percorsi sono difficili per tutti, ma noi abbiamo avuto la fortuna di essere accompagnati dalla fede. Ho il cuore che mi scoppia nel petto. Non dormo da due giorni e non vedo l'ora che tornino a casa. Io la sera rientro a Gela, ma ho la testa sempre all'ospedale Cannizzaro». «Mia moglie non l'ho ancora vista - osserva - ci siamo parlati al telefono, sta bene e non vedo l'ora di abbracciarla. La piccola è in incubatrice, ma procede bene, sono senza parole, non ci credo». Le parole le trova per «ringraziare la famiglia della donatrice» e la scelta del nome della figlia, Alessandra, come la donna deceduta, «è stata naturale, il minimo che potessimo fare», e «le equipe mediche dei professori Scollo e Veroux, del Policlinico e del Cannizzaro di Catania, dei grandi professionisti che ci sono stati vicini in maniera impressionante, non ce l'avremmo fatta senza di loro». E auspica che il loro esempio, la loro felicità, «possa essere contagiosa e spingere alla donazione» e dare continuità a «quel miracolo che è la vita». La moglie non aveva l'utero a causa di una rara patologia congenita, la sindrome di Rokitansky, quando aveva 17 anni, scoperta perché non aveva ancora avuto evidenze del ciclo. Un brutto colpo psicologico aggravato dall'abbandono dell'allora fidanzato che la lasciò. «Quando ci siamo sposati - sottolinea Giovanni - sapevo che non potevamo avere figli, ma io l'amavo e l'amo tantissimo. Certo era pesante sentirsi chiedere 'ma figli? Quando?', ma siamo stati confortati della fede e aiutati dalla scienza. Oggi penso che abbiamo assistito e beneficiato di un miracolo». Sui contatti tra famiglie di un donatore e di un ricevente, in generale, i medici, soprattutto nell'immediatezza dell'intervento, non sono favorevoli: «Normalmente - spiega il prof. Pierfrancesco Veroux, che ha eseguito il trapianto - si tende a non farlo perché, a volte, si possono creare dei legami patologici, soprattutto tra i genitori che hanno perso un figlio. In questo caso tutto è passato dai media e dai social».

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