Monoclonali, via alle cure nel Lazio: le prescriveranno i medici di base

Monoclonali, via alle cure nel Lazio: le prescriveranno i medici di base
di Camilla Mozzetti
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Sabato 13 Marzo 2021, 00:40 - Ultimo aggiornamento: 01:42

Per evitare che la malattia possa degenerare nei soggetti considerati a “rischio” a causa delle loro condizioni pregresse e aumentare così l’indice dei guariti: al fianco delle vaccinazioni, per frenare l’avanzata del Covid-19, la Regione sta mettendo mano al piano per avviare le terapie a base di anticorpi monoclonali per i positivi al virus. 


Un programma già annunciato nelle scorse settimane che potrebbe partire a breve, verosimilmente entro la fine di marzo o, al più tardi, da dopo Pasqua.

I centri e i locali dove predisporre le somministrazioni sono stati già individuati. Saranno sei in tutto il Lazio, tre a Roma: Policlinico Tor Vergata, Umberto I e Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani. A decidere quali pazienti potranno beneficiare di questa terapia - che prevede l’uso dell’anticorpo monoclonale di “Eli Lilly” autorizzato recentemente in Italia - saranno i medici di medicina generale, ovvero quelli di famiglia. 


Le categorie


Lo scorso 9 marzo l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, ha licenziato una determina ad hoc che prevede anche l’istituzione di un «registro dedicato all’uso appropriato e al monitoraggio dei medicinali a base di anticorpi monoclonali» e l’attivazione di un sistema di farmacovigilanza specifico. Nella determina vengono elencati anche i soggetti a cui somministrare la terapia: sono esclusi i pazienti già ricoverati per Covid, con una manifestazione dunque evidente della malattia, o coloro i quali ricevono ossigenoterapia.

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Nella lista dei pazienti “candidabili”ci sono coloro che soffrono di diabete, obesità, immunodeficienze primitive, quelli sottoposti a dialisi, i pazienti oncologici in terapia immunosoppressiva. È previsto anche l’uso tra gli adolescenti dai 12 ai 17 anni qualora si tratti di ragazzi che soffrono di asma o altre malattie respiratorie, malattie cardiache, anemia falciforme, problemi del neurosviluppo, ma anche obesi e quelli con tracheotomia o gastrostomia. Al policlinico Umberto I così come a Tor Vergata gli spazi dove procedere con le terapie sono stati già individuati.

Il professor Francesco Pugliese direttore del Dea del primo nosocomio precisa però quanto già detto dall’Aifa: «Queste sono terapie che devono essere riservate a determinati pazienti ma che soprattutto devono essere somministrate in tempi precoci, acclarata la positività, per avere poi dei risultati», perché l’uso dei monoclonali per avere poi dei risultati «deve esser riservato a soggetti positivi ma non ospedalizzati e dunque a persone che non hanno ancora manifestato sintomi - aggiunge il primario di Tor Vergata e direttore della Società italiana di malattie infettive Massimo Andreoni - Noi siamo pronti a partire, premesso che già li stiamo utilizzando a scopo “compassionevole”».

Perché entrano in gioco i medici di famiglia? Perché si presume siano i primi a sapere se un cittadino è o meno positivo al virus dopo aver fatto il tampone. Il loro compito sarà quello di analizzare il profilo del paziente e richiedere la terapia a base di monoclonali nel caso in cui il potenziale decorso della malattia potrebbe essere più grave rispetto ad altri soggetti. Da qui le indicazioni sulle “categorie” licenziate dall’Aifa.


I DOTTORI


«Stiamo aspettando il via dalla Regione - commenta Alberto Chiriatti, vice segretario regionale della Fimmg Lazio, la Federazione dei medici di medicina generale - confidiamo in un incontro per delineare l’operatività del progetto perché, ad esempio, potrebbe esserci l’esigenza di istituire un numero verde a cui noi medici potremo rivolgerci per fissare un appuntamento in uno dei centri deputati alle somministrazioni». Tecnicamente, la terapia dura un’ora e si articola nel seguente modo: gli anticorpi monoclonali vengono somministrati tramite un’infusione endovenosa della durata di 60 minuti circa. Poi ne servono altrettanti per l’osservazione del paziente: vedere come reagisce o se manifesta delle reazioni. Motivo per cui le terapie, almeno all’inizio, verranno erogate a livello ospedaliero in regime di “Day-hospital”.

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