Covid, Richeldi: «Volevamo evitare il panico sul virus ma quei verbali andavano resi noti»

Covid, Richeldi: «Volevamo evitare il panico sul virus a quei verbali andavano resi noti»
di Mauro Evangelisti
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Domenica 6 Settembre 2020, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 11:31

«Con i dati a disposizione allora, non penso che come Comitato tecnico scientifico abbiamo commesso gravi errori. Forse, ripensandoci ora, avrei evitato di rendere riservati i documenti. Ma temevamo che ingenerassero confusione».

Il professor Luca Richeldi è presidente della Società italiana di Pneumologia e direttore dell’Unità operativa complessa di quella specialistica al Policlinico Gemelli di Roma. Fa parte del Cts, il comitato tecnico scientifico su Sars-CoV-2 che suggerisce scelte e strategie al governo. La pubblicazione dei 98 verbali delle riunioni del Cts, avvenuta l’altro giorno dopo che in precedenza era stato deciso di non divulgarli, ha alimentato polemiche e dubbi. Il Cts concordò sulla scelta di non diffondere il piano di governo. All’inizio disse che le mascherine non erano necessarie, che i tamponi andavano fatti solo ai sintomatici. Il 3 marzo chiese la zona rossa per Nembro a Alzano, il governo non seguì quella indicazione.

Voi scienziati del Cts avete commesso degli errori?
«Forse è stata sbagliata la scelta di mantenere i documenti riservati. Ma a febbraio e marzo non si sapeva come si sarebbe sviluppata la situazione, era necessaria una comunicazione chiara e univoca».

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Perché prevalse la linea del segreto?
«In buona fede si è valutato che quei documenti non avrebbero aiutato la comprensione dei cittadini, avrebbero solo creato confusione. La confusione poteva essere dannosa. Tenga conto che eravamo nell’incertezza totale, non avevamo altri Paesi da cui prendere esempio, fummo i primi colpiti in Europa. E dalla Cina arrivavano poche informazioni».

Perché a febbraio e marzo frenavate sull’uso delle mascherine?
«Le scelte erano basate sostanzialmente su nozioni che venivano da altre malattie, da precedenti conoscenze. Si voleva mitigare interventi estremamente drastici. L’indicazione all’uso delle mascherine è arrivata successivamente, quando ne abbiamo conosciuto meglio l’efficacia nel mantenere bassa la trasmissione del virus; inoltre, certamente in Europa siamo stati presi alla sprovvista come disponibilità delle mascherine, anche se non era la prima ragione che ci faceva limitare l’uso di quello strumento. Sono dati acquisiti nel tempo. Ma la verità è che all’inizio non sapevamo, non lo sapeva nessuno, che il virus è così facilmente trasmissibile e che anche gli asintomatici possono contagiare. Ci sono studi in aree del pianeta già nella fase dell’epidemia influenzale in cui si vede che mascherine, distanziamento e lavaggio delle mani decisi per il coronavirus, stanno limitando molto anche la diffusione dell’influenza. Questo è incoraggiante perché sono preoccupante per l’arrivo dell’influenza. Spero che con le nuove abitudini, insieme a una vaccinazione anti influenzale diffusa, avremo una forte diminuzione anche dell’influenza».

All’inizio il Cts fu perentorio nel fissare limiti ai tamponi: si dovevano fare solo a chi aveva sintomi. Un errore?
«Questo è un discorso simile a quello delle mascherine. Per analogia con altre malattie respiratorie, si pensava che la vera fonte di trasmissione fosse chi ha la febbre, un sintomo. In altre malattie non esiste una così larga fetta di asintomatici come per il coronavirus. Quella decisione non era legata alla mancanza di reagenti, ma al livello di conoscenza che c’era allora. Cercavamo di capire al meglio una situazione totalmente nuova sulla base di altre esperienza».

Il 3 marzo chiedeste la zona rossa ad Alzano, il governo non lo fece.
«Non penso che questo abbia avuto un grande impatto sull’andamento dell’epidemia. I dati dalla Lombardia cambiavano, ogni giorno, in maniera significativa; erano imprecisi, necessariamente visto la situazione di stress del sistema sanitario. Noi, in quelle ore, davamo indicazioni sulla base dei positivi che si trovavano, ma ora sappiamo che erano molti di più, 10-20 volte in più. Ma il governo, comunque, dopo pochi giorni chiuse prima tutta la Lombardia, poi tutto il Paese. E secondo me il lockdown nazionale ci ha aiutato a resettare la situazione. E anche grazie a quello oggi i nostri dati sono più bassi di quelli dei Paesi vicini».
 

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