​Variante Delta, ecco perché è più pericolosa e infettiva: la mutazione che aiuta la super-diffusione. Studio su Nature

Variante Delta, ecco perché è più pericolosa e infettiva: il segreto negli aminoacidi
di Raffaele Alliegro
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Sabato 21 Agosto 2021, 11:22 - Ultimo aggiornamento: 17:02

È l'ultima variante. Quella più infettiva. Si chiama Delta e ha costretto i più bravi ricercatori del mondo a mobilitarsi per capire qual è il segreto della sua notevole trasmissibilità. Un articolo di Nature ha fatto il punto su una serie di studi sugli aminoacidi che contribuiscono a svelare alcuni aspetti di questa maggiore capacità infettiva. Ma intanto la mutazione corre in Italia e i casi sono ormai segnalati in tutto il Paese: la quasi totalità sono “nati” sul territorio nazionale e soltanto una piccola parte (il 6,6%) importati. È stata così scalzata quasi definitivamente la variante Alfa inglese. La variante Delta ha del resto una maggiore trasmissibilità rispetto alla variante Alfa compresa tra il 40% e il 60%.

Novità importanti vengono dunque dal fronte della ricerca. Nature ha fatto sapere che una serie di studi hanno «evidenziato un cambiamento di aminoacidi presente in Delta che potrebbe contribuire» alla sua rapida diffusione. «La caratteristica chiave di Delta è che la trasmissibilità sembra salire a un livello successivo», afferma su Nature Pei-Yong Shi, virologo presso l'Università del Texas Medical Branch a Galveston. «Pensavamo che Alfa fosse piuttosto cattiva, molto brava a diffondersi. Ma Delta sembra esserlo ancora di più». Il team di Shi e altri gruppi, ricorda Nature, «si sono concentrati su una mutazione che altera un singolo aminoacido nella proteina spike Sars-Cov-2, la molecola virale responsabile del riconoscimento e dell'invasione delle cellule.

Il cambiamento, che si chiama P681R, cade all'interno di una regione molto studiata della proteina spike chiamata sito di scissione della furina.

La presenza di questa breve sequenza di aminoacidi ha fatto scattare un campanello d'allarme quando il Sars-CoV-2 è stato identificato per la prima volta in Cina, perché è associato a un'elevata infettività in altri virus come l'influenza, ma non era stato precedentemente trovato nella famiglia di coronavirus a cui appartiene Sars-CoV-2».

 

E dunque grazie a un complesso meccanismo di “pre-attivazione” del virus, descritto da Nature, le particelle virali avrebbero maggiore capacità di infettare le cellule. Il team di Shi ha scoperto «che la proteina spike viene tagliata in modo molto più efficiente nelle particelle con variante Delta che nelle particelle Alfa, facendo eco ai risultati riportati a maggio dalla virologa Wendy Barclay dell'Imperial College di Londra e dal suo team, che ha confrontato Delta con un ceppo precedente».

Inoltre «la mutazione potrebbe anche accelerare la diffusione di Sars-CoV-2 da cellula a cellula. Un team guidato da Kei Sato, un virologo dell'Università di Tokyo, ha scoperto che le proteine spike che portano il cambiamento P681R si fondono con le membrane plasmatiche delle cellule non infette quasi tre volte più velocemente delle proteine spike prive del cambiamento».

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Sempre secondo Nature pare che sia più di una mutazione a rendere Delta così infettiva: «Sebbene le prove stiano dimostrando che il cambiamento di P681R è una caratteristica cruciale di Delta, i ricercatori sottolineano che è improbabile che sia l'unica mutazione responsabile della rapida diffusione della variante. Delta porta numerose altre mutazioni alla proteina spike, così come ad altre proteine meno studiate.

Ricercatori in Uganda hanno identificato il cambiamento di P681R in una variante che si è diffusa ampiamente nel paese all'inizio del 2021, ma che non è mai decollata come ha fatto Delta, anche se mostra molte delle stesse proprietà negli studi di laboratorio basati sulle cellule». È probabile inoltre «che anche il contesto, sia epidemiologico che genetico, abbia avuto un ruolo nell'ascesa di Delta. Uno dei “fratelli” di Delta, una variante chiamata Kappa che è stata identificata per la prima volta in India, porta molte delle stesse mutazioni, incluso P681R» ma i suoi effetti non sono stati così forti.

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Effetti che si sono già prodotti nel nostro Paese. Dal 3 luglio al 16 agosto l'82,4% dei tamponi sequenziati è risultato positivo alla variante Delta, mentre la Alfa è ferma all'8%. La percentuale di sequenze ascrivibili alla variante Delta, sul totale dei sequenziamenti era pari all'86,8% nel mese di luglio fino a diventare il 96,2% dall'1 al 16 agosto. È questo il quadro delle varianti del virus in Italia secondo il settimo rapporto diffuso dall'Istituto superiore di Sanità.

La maggior parte dei casi d'infezione causati da varianti di Sars-CoV-2 di interesse sanitario rilevate dal Sistema di sorveglianza integrata Covid-19, «sono stati contratti sul territorio italiano», si legge nel nuovo rapporto Iss, e solo «il 6,6% delle infezioni associate alla variante Delta e il 4% associate alla variante Alfa sono state contratte all'estero». Negli ultimi 45 giorni 7.576 casi Covid da variante Delta (93,4%) sono autoctoni contro 535 (6,6%) importati. Per la variante Alfa 748 casi autoctoni (96%) e 31 importati (4%).

 

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