Vaccini, flop CureVac: «Per noi si allontana l’immunità di gregge»

Vaccini, flop CureVac: «Per noi si allontana l’immunità di gregge»
di Francesco Malfetano
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Venerdì 18 Giugno 2021, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 10:09

È venuta meno anche la quinta «gamba» del piano vaccinale italiano. Il farmaco tedesco CureVac infatti, ha deluso le aspettative. Secondo un primo studio clinico condotto dall’azienda, il vaccino ad mRna (come Pfizer-BioNTech e Moderna quindi) ha mostrato un’efficacia del 47%. Addirittura quasi la metà degli altri concorrenti e comunque al di sotto del 50%, la soglia indicata come minima dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Un duro colpo. Non solo per Berlino che ha investito 300 milioni di euro nelle sperimentazioni dell’azienda inseguendo l’obiettivo di un vaccino made in Germany, ma anche per Bruxelles e, soprattutto, per la campagna italiana.

Dal canto suo infatti l’Unione Europea - che pure si tiene intatta la necessità di produrre in maniera autarchica un preparato anti-Covid - aveva già siglato il 17 novembre scorso un contratto per almeno 225 milioni di dosi da fornire «non appena saranno dimostrate la sicurezza e l’efficacia del vaccino».

Un accordo preliminare di acquisto (per circa 10 euro a dose) che prevede anche l’opzione di fornitura di ulteriori 180 milioni di fiale. Non è invece chiaro a quanto ammontasse, o anche se c’è stato e con quali modalità, un investimento sulla ricerca (va precisato che questa continua e potrebbe portare risultati migliori come ha specificato anche Ema ieri). Così come non è chiaro se Bruxelles dovrà o meno pagare qualcosa. «La Commissione Ue e gli Stati membri, nello Steering board, seguono da vicino la questione» ha dichiarato un portavoce dell’Esecutivo comunitario. E a chi chiede se vi sia la possibilità di rescindere il contratto si risponde che «sono previste delle clausole» ma «non stiamo assolutamente conducendo questo tipo di discussione». In altre parole, si aspetterà che l’azienda di Tubinga, una manciata di chilometri da Stoccarda, colmi il ritardo. Casa farmaceutica che intanto ieri ha anche provato a difendersi sostenendo che, a causa delle varianti, «in realtà combattiamo un altro virus». Una difesa non molto convincente va detto, ma tant’è. L’Europa aspetterà.

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La campagna italiana

Un’attesa a cui sarà costretta anche l’Italia, ulteriormente azzoppata da questo nuovo stop. A sostenerlo il commissario per l’Emergenza Francesco Figliuolo che, la scorsa settimana, nel corso della conferenza stampa che chiarì l’utilizzo di AstraZeneca per i soli over60, spiegò che in quel momento il piano aveva ancora un sostegno logistico - ovvero era «liscio liscio» per dirla con le sue parole - e poteva garantire l’agognato raggiungimento dell’immunità di gregge a fine settembre. «Se si fa un piano che poggia su 4 gambe più una che poteva essere CureVac - aggiunse Figliuolo - e se poi una di queste gambe viene azzoppata o limitata è chiaro che tutti i piani si rivedono. Non faccio fosche previsioni, sono convinto che a settembre chiudiamo, ma se dovessimo aggiungere un’altra platea, ad esempio 6-15 anni, se CureVac non arriva e se ci sono altri intoppi è chiaro che non ce la faremo».

Niente cassandre sia chiaro, ma uno dei «se» del Commissario si è appena manifestato. E sommandolo al caos AstraZeneca e alla necessità di fare i richiami con vaccini ad mRna il traguardo dell’immunità di gregge a fine settembre, cioè l’aver completato il ciclo vaccinale per più dell’80% della popolazione, sembra proprio allontanarsi. L’Italia infatti aspettava circa 30 milioni di dosi da CureVac. Secondo il calendario attuale le prime 7,3 milioni entro la fine di giugno 2021, 6,6 milioni tra luglio e settembre, 7,9 milioni di dosi per l’ultimo trimestre dell’anno e altrettante per i primi tre mesi del 2022. Non tantissime ovviamente, ma a sufficienza perché assorbissero il contraccolpo causato dalla svolta impressa al piano con l’opzione della seconda dose eterologa. Il mix peraltro, in una conferenza stampa tenuta ieri, è stato definito «non problematico» dall’agenzia europea per i medicinali (Ema), per quanto sostenuto ancora da un «livello di prove basso» e quindi ancora da «vigilare». 
 

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