Covid, Pregliasco: «Aprire le scuole a gennaio un rischio con questi dati»

Covid, Pregliasco: «Aprire le scuole a gennaio un rischio con questi dati»
di Francesco Malfetano
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Lunedì 14 Dicembre 2020, 22:19 - Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 12:56

«Gliela riassumo in pochissime parole, ora è un casino». Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano, tra gli esperti diventati volti noti nel corso dell’emergenza, seppur cautamente, è sempre stato tra i più ottimisti. Ora invece, al telefono, alle domande sulla riapertura delle scuole in tutto il Paese prevista per il 7 gennaio sorride amaro: «È inutile che le ripeta che come sempre per ogni valutazione bisognerà aspettare i dati, ma è utile che le ricordi che quei dati saranno diretta conseguenza di ciò che avverrà nel periodo di Natale. E questo è quello che è, durante le feste tendiamo ad essere tutti un po’ più leggeri. Ma quest’anno non possiamo permettercelo».

Dottor Pregliasco, dopo le immagini dello scorso fine settimana e la nuova stretta introdotta dalla Merkel in Germania (che ha chiuso anche le scuole, primo Paese Ue a farlo oltre all’Italia), è di nuovo in dubbio la riapertura delle aule fissata per il 7 gennaio?
«Scusi se mi ripeto, ma è un casino.

Davvero. Perché vede se la salute è più importante dello sci o degli impianti sciistici, anche se questi sono una fonte di lavoro notevole e un elemento economico significativo, con il tema dell’educazione diventano necessarie riflessioni diverse». 

Cosa intende?
«Che la scuola merita tentativi di riaprire più decisi e da questo deriva lo sforzo organizzativo non da poco che si sta provando a fare. Ma oggi fatico ad immaginare come si possano strutturare i sistemi di trasporto e gestire tutti i passaggi con dei protocolli. In giro con la scuola tornerebbero non solo 8 milioni di giovani studenti ma almeno altri 2 milioni di lavoratori che si occupano del settore. A loro vanno aggiunti tutti i familiari che si muovono per accompagnare i più piccoli in classe. È evidente che se i numeri saranno quelli di una terza ondata sarà difficile. La sola cosa che possiamo fare è arrivare a quel punto nel migliore dei modi».

Anche perché a sentire lei ed altri esperti, la possibilità che a gennaio ci si ritrovi in una prima fase della terza ondata sembra piuttosto alta.
«Senza alcun dubbio la terza ondata il prossimo anno ci sarà, questo è un fatto. Ma lo è anche che avrà un’intensità che dipende da noi. A seconda di come regoliamo ora questo rubinetto, dando più o meno fiato alla possibilità di avere contatti durante le feste, tanto più la terza ondata, successiva alle vacanze, avrà un’altezza più o meno elevata».

Dopo aver parlato per giorni di deroghe ed eccezioni, ora si riparla di chiudere bar e ristoranti. Questa nuova stretta può essere letta anche come un tentativo di salvare le riaperture di gennaio? In primis quella delle scuole?
«Direi proprio di si. O quantomeno direi che le misure che decideremo di adottare oggi o comunque nei prossimi giorni, contribuiscono a salvare la possibilità che il prossimo 7 gennaio le scuole possano riaprire. È ancora lunga però, per ogni valutazione serve aspettare. Però oggi è davvero fondamentale arrivare a stringere un po’, se no fra 15 giorni ci ritroviamo con effetti pesanti». 

Però non è un po’ un controsenso consentire lo shopping e poi bloccare i ristoranti o non aver trovato un modo per limitare i pranzi in famiglia?
«Tra una passeggiata tra i negozi con la mascherina e un pranzo in famiglia è più pericoloso il pranzo. Le diverse restrizioni agli spostamenti infatti sono state pensate per sfavorire questa modalità dello stare insieme. Tant’è che nel manuale, tutto in costruzione, delle procedure di controllo, si era detto che potesse essere meglio tenere aperti i ristoranti perché lì c’è un protocollo e un’attenzione maggiore rispetto alle case, dove si abbassano le difese tra conviventi o parenti». 
 

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