Terza dose, Cauda: «Può fermare le varianti, però è meglio aspettare»

Terza dose, Cauda: «Può fermare le varianti, però è meglio aspettare»
di Francesco Malfetano
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Sabato 21 Agosto 2021, 06:21 - Ultimo aggiornamento: 22 Agosto, 10:15

«La terza dose si farà, ma probabilmente ora solo per i fragili o solo per gli immunodepressi. Però, alla luce di un po' di cose che ho letto in rete, vorrei precisare che non si sta assolutamente dicendo che due dosi non servano. Si discute solo del fatto che in presenza di una variante più aggressiva e più pericolosa, per una parte delle persone vaccinate da tempo, potrebbe essere necessaria un'ulteriore dose come accade da sempre per moltissimi dei vaccini che somministriamo abitualmente».

Nel dibattito per la terza dose di vaccino antiCovid Roberto Cauda, direttore dell'unità operativa di Malattie infettive del Gemelli di Roma, si ascrive alla lista dei prudenti. «Con Israele che è partito per primo e ha già fatto il secondo richiamo a un milione di persone e gli Stati Uniti in partenza i dati arriveranno - dice - e noi che abbiamo ancora milioni di persone da vaccinare con la prima dose ora possiamo permetterci di aspettarli».

Professor Cauda, anche l'Italia inizierà con la terza dose di vaccino antiCovid entro la fine dell'anno?

«Credo che andrà messa in bilancio entro l'autunno almeno per i fragili.

Ma anche su questo gruppo bisognerà fare chiarezza per capire come identificarlo. Definire se il gruppo legato all'età, come fa Israele che vaccina gli over 60, o alle comorbidità. Ad esempio, oltre all'esperienza diretta che arriva da Tel Aviv, ci sono già degli studi francesi che dimostrano come il richiamo ad immunodepressi, pazienti trapiantati o soggetti con potenziale minore risposta, migliora la produzione di anticorpi».

Quindi, almeno per il momento, lei ritiene che non tutti saranno ri-vaccinati.

«Per ora sì, ma è difficile dirlo con esattezza. Senza dubbio dobbiamo prepararci per questo tipo di evenienza. Israele ha avuto un approccio massiccio a seguito di uno studio che dimostra come gli over 60 ri-vaccinati siano molto più protetti, ma negli Stati Uniti e nel Regno Unito alcuni discutono anche degli over 40. La realtà è che abbiamo ancora un po' il dubbio di quanto duri davvero l'immunità sviluppata a seguito dell'iniezione delle due dosi. In più non abbiamo neppure ancora dati, ma arriveranno a breve, che dimostrano come un eventuale secondo richiamo potenzi la risposta immunitaria e soprattutto migliori la protezione nei confronti delle varianti».

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La comunità scientifica italiana, e non solo, in effetti sembra intenzionata ad attendere evidenze più concrete. Come mai?

«Il problema è che la fase 3 dei vaccini anti-Covid è stata condotta su sole due dosi e non con tre. Questo genera un po' di prudenza. Attenzione però, il vaccino sta mostrando e ha già mostrato sicurezza ed efficacia e quindi non credo serva una nuova sperimentazione da zero, di quel tipo. Ma credo che la cautela, soprattutto tenendo conto che ci sono milioni di italiani in attesa della seconda dose o che non hanno ricevuto neppure la prima, non sia così sbagliata. I dati ci saranno, intanto mettiamola in conto per i più fragili».

L'Organizzazione mondiale della sanità è stata molto meno diplomatica e l'ha sconsigliata.

«Sì, in nome di un concetto che evoco da sempre anch'io: da una pandemia si esce tutti insieme e non un Paese alla volta o un continente alla volta, specie in un mondo globalizzato come il nostro. La puntualizzazione dell'Oms però non è una presa di posizione contro i richiami, ma serve a dire che sarebbe più prudente mettere prima in sicurezza tutti e poi procedere con le ri-vaccinazioni. Io credo in realtà che si possa andare di pari passo. I Paesi che hanno già fatto le vaccinazioni possono pensare ad eventuali richiami per consolidare la protezione dei fragili e non dimenticare la solidarietà nei confronti dei Paesi che hanno pochissimi immunizzati. Il continente africano ha una percentuale di vaccinati sotto al 5%. Magari si potrebbe fare come l'Hiv più di 20 anni fa e mettere in pausa i brevetti per far produrre il vaccino a più aziende. Ma queste sono scelte politiche in cui non posso entrare».

 

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