Tamponi Covid, sistema in crisi: code e attese per i risultati. Il Cts: vanno raddoppiati

Tamponi Covid, sistema in crisi: code e attese per i risultati. Il Cts: vanno raddoppiati
di Lorenzo De Cicco
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Mercoledì 7 Ottobre 2020, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 11:55

«I fucili si comprano prima della guerra, non durante», dice Pier Luigi Bartoletti, medico di Torpignattara, Roma Est, e segretario della Fimmg, la federazione dei medici di base della Capitale. L’arma, in questo caso, è il tracciamento di massa dei casi sospetti, l’unica via per frenare l’avanzata del contagio. «Ora i drive-in scoppiano - riprende Bartoletti - ma in estate non era così, si poteva intervenire». Non è un problema di scorte, ma di sistema: le richieste di test, con i prevedibili, primi raffreddori e soprattutto con la riapertura delle scuole, si sono moltiplicate a un ritmo mai visto. E la rete dispiegata dalle regioni non sembra in grado di reggerne l’urto. Nella Capitale si eseguono di media 12-13mila tamponi al giorno, ma solo le richieste dei medici di base sono il doppio: 25mila al dì. Senza contare i passeggeri in arrivo dai Paesi a rischio che vanno obbligatoriamente testati. A Milano le code ai drive-in si snodano per 3 chilometri: per arrivare davanti agli infermieri c’è chi ha dovuto pazientare 8 ore in auto. A Torino mamme e papà hanno dovuto aspettare in fila, all’aperto, coi bimbi febbricitanti. In Toscana le Asl hanno ammesso di avere i laboratori sotto stress.

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Tocca farne quasi il doppio. Oggi in Italia i test giornalieri oscillano tra 90mila e 125mila, il record toccato ieri. La domenica, si scivola a 60mila. Secondo gli esperti del Comitato tecnico scientifico bisognerebbe arrivare almeno a 200mila tamponi ogni 24 ore. Alcune regioni come la Campania ieri hanno dichiarato di aver scoperto 544 positivi in un giorno, mai così tanti, ma a fronte di appena 7.504 esami. È per un mix di fattori che il sistema arranca. Le richieste di test sono aumentate a dismisura nelle ultime settimane. Soprattutto per via delle scuole. «Molti istituti - spiega Teresa Rongai, segretaria della Federazione medici pediatri di Roma - chiedono un certificato di negatività al primo raffreddore, anche quando non è richiesto». L’altro tarlo è la rete dei laboratori privati che finora è stata sfruttata solo marginalmente. Con una dichiarata ritrosia, in diverse regioni, per il «privato».

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Secondo Federlab è stato autorizzato solo il 25% delle strutture che potrebbero realizzare gli esami Covid. «Eppure il test del Coronavirus non è molto diverso da quello dell’epatite, un esame che i privati fanno da anni», racconta Gennaro Lamberti, presidente di Federlab Italia. Non è un caso se, con una platea ancora così circoscritta di centri autorizzati, i pochi laboratori che possono operare siano già sovraccarichi, con le code pure di notte. La Regione Lazio si è prima opposta, in estate, ai tamponi dai privati, ma da qualche giorno ha iniziato ad autorizzarli (come la Campania ieri), con tariffa calmierata a 22 euro, proprio per alleggerire la pressione sulle strutture pubbliche. Ieri l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato ha fatto sapere che la Pisana vorrebbe raddoppiare i drive-in, già quintuplicati da inizio estate, oggi sono 29. Ma non bastano a drenare il fiume delle richieste. C’è poi un problema di macchinari: gli apparecchi delle Unitá Covid per i tamponi rapidi si stanno già guastando, probabilmente proprio perché sovraccarichi.

Su 20 «macchinette» per elaborare i risultati dei test, 7 sono andate kappaò. Al drive-in di Fiumicino, gli operatori non hanno un lettore per il codice a barre dei certificati medici e chi si presenta, a volte, viene respinto. Anche il personale delle Asl, per quanto rimpolpato, non basta a coprire tutti i centri. Alcuni rimangono aperti solo 3 ore, in altri la sera restano due medici soltanto, per centinaia di auto. Nel Veneto del “piano Crisanti”, che a livello nazionale è rimasto lettera morta, la Regione ha annunciato che permetterà ai medici di base di effettuare i tamponi rapidi. Ora il Lazio replica lo schema, il patto con la federazione dei camici bianchi è stato siglato ieri. Ma molti studi di Roma, dal Tufello al Prenestino, già si tirano indietro: «Troppo rischioso - dicono - far venire qui i casi sospetti; i drive-in, con i pazienti a distanza in auto, sono più sicuri». E, di certo, molto più trafficati.

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