Covid, Pregliasco: «Spostamenti? Pericoloso farli riprendere dal 7 gennaio»

Fabrizio Pregliasco: «Pericoloso far riprendere gli spostamenti dal 7 gennaio»
di Graziella Melina
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Martedì 22 Dicembre 2020, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 12:14

Se finora riuscire a tenere sotto controllo il Sars Cov 2 non è stato affatto semplice, con la mutazione che lo rende più contagioso la situazione potrebbe sfuggire di mano. Ecco perché, avverte Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore di igiene dell’Università degli Studi di Milano, «occorre aumentare la nostra responsabilità personale e rispettare tutte le misure di sicurezza. Siamo alla seconda ondata, ma rischiamo un rialzo davvero pericoloso». La variante di questo virus individuata in Gran Bretagna, ma anche in Danimarca, Australia, Olanda e ora anche in Italia, è una bella grana da risolvere con l’attuale livello dei contagi.

Perché il Sars Cov 2 è cambiato?
«Ci sono stati tantissimi virus isolati e le variazioni sono normali in quelli a Rna.

Si tratta di virus che sono un po’ disattenti nel replicarsi, quindi commettono qualche errore rispetto ad altri come per esempio il morbillo, che invece è ripetitivo. Diciamo che utilizzano in un certo senso il meccanismo di Darwin, ossia il caso e la necessità, e quindi a un certo punto può capitare che ci sia una variante».

Ma queste mutazioni sono prevedibili?
«È difficile riuscirci. Anche gli inglesi ora ammettono di aver individuato la mutazione mesi fa, però la verità è che non si può stare addietro a tutte le variazioni, alle sequenze nucleotidiche variate. E poi, la gran parte delle mutazioni non è efficace oppure è del tutto indifferente rispetto alle caratteristiche della malattia».

Quali sono gli effetti immediati per la pandemia?
«La maggiore contagiosità è semplicemente un fatto quantitativo. Anche se rimane uguale la percentuale di casi importanti, ossia un 7 per cento di casi ospedalizzati e 0,7 di terapie intensive, se la base di numeri assoluti è più elevata queste percentuali diventano più pesanti in termini assoluti, come numero di persone fisiche colpite».

I voli verso i Paesi dove è stata sequenziata questa mutazione sono stati interrotti. Questa mutazione, però, è stata individuata anche in Italia. Secondo lei quanto è già diffusa?
«Sicuramente circola da noi da diverso tempo. Ma non è facile stabilire l’entità dei casi. Però, la presenza di questo virus più contagioso potrebbe essere una dimostrazione del fatto che la curva dei contagi non sta scendendo abbastanza velocemente. Spiegherebbe in sostanza il numero così alto di contagi che ci sono in questo periodo. Però, è tutto da dimostrare».

Cosa bisognerebbe fare per capire quanto è diffusa da noi questa mutazione?
«Serve un’indagine di secondo livello. Occorre cioè effettuare quello che è il sequenziamento, che ovviamente viene fatto in una quota parte dei casi».

Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità ha esortato i Paesi a rafforzare i controlli e aumentare la capacità di sequenziamento del virus per capirne di più i rischi legati alla nuova variane. Quindi vuol dire che finora se ne sono stati fatti pochi?
«Diciamo che in Italia se ne potrebbero fare di più. L’Inghilterra è molto organizzata da questo punto di vista. Ma la situazione in cui ci troviamo deve dare una spinta al finanziamento a questo tipo di indagini».

È solo un problema di risorse o servono competenze specifiche?
«Si tratta di un’indagine che si può fare in tutti i laboratori. Ma serve una rete che abbia capacità e qualità di risultato che siano confermati. Occorre poi uno sforzo maggiore per aumentare il numero dei sequenziamenti». 

Spesso nel diagnosticare la presenza del virus possono venire fuori risultati contraddittori. Da cosa può dipendere?
«È evidente che i test diagnostici andrebbero standardizzarti meglio. Può capitare che alcuni dei test molecolari non siano sicuri e diano come risultato falsi negativi. Le varie aziende produttrici utilizzano spesso metodiche differenti. È bene invece che i test seguano tutti gli stessi parametri. Inoltre, per avere una autorevolezza e appropriatezza dei risultati, i test devono essere fatti in un laboratorio che ha il controllo di qualità. Bisogna evitare, poi, il fai da te. Quanto ai tamponi rapidi, per certi versi sono un elemento complementare che può aiutare in una fase di screening, ma non devono essere un riferimento assoluto. Sennò rischiamo di ritrovarci un numero considerevole di falsi negativi».

Quali altre misure possiamo intanto adottare per difenderci dal virus?
«Di fatto, questa mutazione ci mette di fronte alla necessità di aumentare la nostra responsabilità personale. Dobbiamo vivere purtroppo con la considerazione che ogni contatto interpersonale rappresenta un rischio. Occorre seguire le stesse precauzioni di prima ma con maggiore attenzione. Il virus è uguale, si trasmette allo stesso modo». 

La riapertura delle scuole non fa stare tranquilli.
«Ricordiamo che la riapertura a settembre ha dato una bella spinta a questa seconda ondata. Se quindi vogliamo riaprirle, bisognerà prima capire cosa fare perché non rappresentino di nuovo un rischio. E quindi occorre prima gestire l’aspetto degli spostamenti. Io spero che a questo proposito le organizzazioni preposte stiano facendo qualcosa». 

Permettere gli spostamenti fino al 20 dicembre e poi di nuovo dal 6 gennaio per il virus cosa cambia?
«Il senso di questa misura non si comprende. Diciamo che è stata una forma di liberalità nella speranza che se ne facesse un uso decente. Ma dal punto di vista scientifico non mi entusiasma affatto, anche perché riporta a quei comportamenti al limite della pericolosità».
 

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