Sottovariante Delta (più contagiosa) è in Italia, scoperti i primi 9 casi. Cos'è e perché è pericolosa

Comparsa recentemente, la variante AY.4.2 è ancora poco conosciuta ma ha caratteristiche tali da far sospettare che sia molto probabilmente più aggressiva rispetto alla Delta

Sottovariante Delta (più contagiosa) è in Italia, scoperti i primi 9 casi. Cos'è e perché è pericolosa
di Simone Pierini
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Mercoledì 20 Ottobre 2021, 18:13 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 18:13

La nuova sottovariante Delta, conosciuta come variante AY.4.2 e indicata con la sigla B.1.617.2.4.2 è presente anche in Italia. Ad oggi sono solo 9 i casi identificati in un periodo stimato fra settembre e ottobre. Ad indicarlo sono le sequenze genetiche contenute dalla banca dati internazionale Gisaid, analizzate dagli esperti del Ceinge-Biotecnologie avanzate di Napoli. Complessivamente sono state finora depositate 1.860 sequenze della variante AY.4.2. Di queste, la maggior parte proviene dalla Gran Bretagna e le rimanenti sono distribuite, anche se con piccoli numeri, in una decina di Paesi europei fra i quali l'Italia. Comparsa recentemente, la variante AY.4.2 è ancora poco conosciuta ma ha caratteristiche tali da far sospettare che sia molto probabilmente più aggressiva rispetto alla Delta.

Sottovariante Delta, cos'è e perché è pericolosa

La sottovariante del ceppo Delta è stata scoperta nel Regno Unito e secondo gli esperti potrebbe essere fino al 10 per cento più contagiosa. Il picco dei casi di AY.4.2 è stato rilevato in Gran Bretagna, con una parte che ha interessato il recente boom di infezioni che ha colpito il paese. «Il Regno Unito ha riportato il suo più grande aumento di casi di Covid in un giorno in tre mesi proprio con l'arrivo della nuova variante Delta AY.4 - ha twittato ieri l'ex commissario statunitense per gli alimenti e i farmaci Scott Gottlieb - la mutazione nello spike raggiunge l'8% dei casi sequenziati nel Regno Unito. Servono ricerche urgenti per capire se questa Delta plus sia più trasmissibile e abbia una possibile capacità di arginare l'immunità dei vaccini».

Due mutazioni: possono incidere su maggiore aggressività

A contraddistinguere la variante AY.4.2 sono due mutazioni, entrambe presenti nella proteina Spike che il virus utilizza per aggredire le cellule.

Una mutazione, nota per essere apparsa più volte nella variante Delta, si chiama A222V, l'altra è la Y145H. «Quanto queste mutazioni nella Spike possano incidere sulla maggiore aggressività è da definire», osserva Zollo. L'ipotesi di alcuni ricercatori britannici, come Jeffrey Barrett del Wellcome Sanger Institute di Cambridge e Francois Balloux dell'University College di Londra, è la nuova variante possa essere dal 10% al 15% più aggressiva della Delta. «I dati non sono ancora sufficienti per poter trarre conclusioni», osserva Zollo. «Quello che invece è chiaro fin da adesso è che le possibili azioni per contrastare eventuali varianti in grado di sfuggire ai vaccini sono almeno due: la prima potrebbe portare a farmaci in grado di bloccare l'ingresso del virus nelle cellule; la seconda punta a generare nuovi antivirali che blocchino la replicazione del virus nelle cellule».

 

Rischio per persone non vaccinate

La presenza della sottovariante Delta «è un possibile esempio, ma va dimostrato, di come il virus AY.4.2. provi a sfuggire ai vaccini con tutto il suo carico mutazionale», osserva il genetista Massimo Zollo, dell'Università Federico II di Napoli e coordinatore della Task force Covid-19 del Ceinge. «Se l'ipotesi dovesse essere confermata, la situazione epidemiologica potrebbe peggiorare nel caso in cui dovesse restare ancore elevato il numero delle persone non vaccinate, Potrebbero essere colpite anche le persone già vaccinate con una risposta anticorplae bassa o assente».

Immunità di gregge a rischio: virus sarà endemico?

«Per limitare sensibilmente ed efficacemente la circolazione del virus ed i conseguenti contagi c'è solo l' immunità acquisita per contatto diretto col coronavirus ovvero indotta dalla vaccinazione da condurre, quest'ultima, con gli eventuali richiami. E non ho parlato di immunità di gregge perché, considerando che la malattia sta di fatto diventando endemica, si controllerà certamente l'incidenza abbassandola, ma a mio avviso non si giungerà a neutralizzare definitivamente la diffusione della Covid. E poi ci sono le varianti tipo la più recente AY.4.2 che comunque invaliderebbero sempre ogni più rosea premessa». Lo ha affermato all'Adnkronos Salute l'immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud-Italia della Fondazione per la Medicina Personalizzata, commentando quanto affermato dal presidente dell'Iss Silvio Brusaferro, che oggi l'obiettivo «è convivere con il virus» e «non l' immunità di gregge».

«Per limitare sensibilmente ed efficacemente la circolazione del virus ed i conseguenti contagi rimane, per deduzione logica, una sola via, la più credibile, la più sicura, la più fondata sulle prassi ordinarie della buona medicina per la quale non possono esistere altre formule realmente protettive che non siano l' immunità acquisita magari per contatto diretto col coronavirus ovvero indotta dalla vaccinazione da condurre, quest'ultima, con gli eventuali richiami - ha aggiunto Minelli -. Anche per questo uscirei, se possibile, dalla limitazione concettuale delle dosi numerate (prima, seconda, terza) e che, ad ogni numero progressivo, non mancheranno di suscitare reazioni emotive magari anche comprensibili. E tuttavia facilmente evitabili nel momento in cui si dovesse chiaramente e univocamente affermare che, per mantenere una immunoprotezione stabile e duratura, risulta necessario un nuovo richiamo alla prima dose di induzione. In fondo non sarebbe una novità e potrebbe contribuire, volesse il cielo, a portare la comunicazione relativa alla pandemia su standard più coerenti».

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