Gemelli, impiantata per la prima volta una retina artificiale: l'operazione conclusa con successo

Per la preparazione sono stati necessari 10 anni di studi

Impiantata per la prima volta una retina artificiale: l'operazione conclusa con successo al Gemelli di Roma
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Martedì 26 Ottobre 2021, 17:18 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 01:12

Impiantata per la prima volta in Italia a un settantenne non vedente una retina artificiale di ultima generazione che, al risveglio dopo l'intervento, ha permesso all'uomo già di percepire, tramite speciali occhiali, la luce.

L'intervento, effettuato dal direttore della Uoc Oculistica della Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e ordinario di clinica oculistica all'università Cattolica, Stanislao Rizzo, è durato solo due ore.

I dettagli dell'operazione

La retina impiantata al paziente, affetto da una grave forma di retinite pigmentosa che ha causato la perdita della vista, si chiama NR600 ed è stata messa a punto dalla start up Nano Retina, che ha il suo quartier generale a Herzliya, la 'Silicon Valley' israeliana, nei pressi di Tel Aviv.

Quello effettuato al Gemelli, riferisce lo stesso Policlinico in una nota è il «sesto impianto, ma il primo in Italia nell'uomo del nuovo device, dopo quelli effettuati lo scorso anno in Israele e in Belgio». I pazienti operati finora hanno un'età dai 59 agli 81 anni.

Tecnologia high-tech

La retina artificiale NR600 è un gioiello high-tech, frutto di oltre un decennio di ricerche.

L'impianto, grande come la punta di una matita (5 mm di diametro x 1 mm di spessore), viene posizionato da un super esperto in chirurgia retinica sopra la superficie della retina e gli elettrodi tridimensionali dei quali è composto, penetrano tra le cellule retiniche, andando a prendere il posto dei fotorecettori (le cellule specializzate che permettono di 'vederè), attivando con i loro impulsi le cellule ganglionari che trasmettono l'informazione al cervello, facendola viaggiare lungo le vie ottiche. L'impianto di questo device ripristina una parte della funzionalità retinica, ma non restituisce la vista.

Necessario un programma di riabilitazione dopo l'intervento

«Immediatamente dopo l'impianto il paziente può tornare a 'vederè la luce - si legge nella nota del Gemelli - ma in genere il programma di riabilitazione viene avviato dopo un paio di settimane dall'intervento».

Il professor Rizzo è stato un pioniere negli impianti di retina artificiale: nel 2011 fu infatti il primo a impiegare l'Argus, la prima protesi retinica utilizzata in un paziente non vedente.

Il commento del chirurgo

«Siamo davvero felici di iniziare questa nuova esperienza - commenta Rizzo - che è frutto di un lavoro di squadra, per il quale ringrazio tutto il mio team, fatto di persone appassionate ed entusiaste. Questa nuova retina artificiale dovrebbe assicurarci risultati migliori rispetto alle precedenti, essendo dotata di più di 400 elettrodi, molti più dell'Argus che ne possedeva 60. L'idea di restituire anche solo una parvenza di vista a persone che vivono da anni al buio, è il sogno di qualunque medico. Il paziente operato vede già la luce e questo è davvero incredibile».

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La retinite pigmentosa

Rizzo precisa che la retina artificiale per ora è indicata solo per pazienti affetti da retinite pigmentosa (patologia che colpisce circa 150 mila italiani) negli stadi più avanzati di malattia, cioè persone che hanno perso completamente la vista da entrambi gli occhi, una condizione che interessa circa 1.000-1.500 italiani. I criteri di selezione per entrare in questo trial sperimentale sono per ora molto severi e restrittivi«.

Per questo tipo di impianti, spiega ancora Rizzo, «è fondamentale un'accurata selezione del paziente candidato, che viene inquadrato attraverso una serie di colloqui psicologici; questo serve a valutare sia le sue potenzialità di proseguire lungo un percorso riabilitativo che lo impegnerà a lungo, sia le sue aspettative».

«Perché questo impianto non va a restituire una visione normale ma una visione artificiale, 'bionicà. Il paziente deve essere preparato al fatto che quello che vedrà è una ricostruzione attraverso dei 'fosfenì, dei lampi di luce, che vanno a comporre un'immagine pixelata», prosegue l'esperto. «La visione d'insieme viene ottenuta dal lavoro dei 576 elettrodi presenti nel device, i cui parametri vanno tutti configurati con tanta pazienza, attraverso una speciale applicazione», conclude il chirurgo.

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