Pronto soccorso, Schillaci: «Evitabile l’80% degli accessi». Su 14 milioni di pazienti, quasi 10 da codice verde

L’affondo del ministro: «In molti vanno negli ospedali senza che sia necessario»

Pronto soccorso, Schillaci: «Evitabile l’80% degli accessi». Su 14 milioni di pazienti, quasi 10 da codice verde
di Mauro Evangelisti
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Sabato 11 Marzo 2023, 07:06 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 09:24

I pronto soccorso sono l'imbuto infernale in cui le attese sono eterne, gli anziani restano nelle barelle anche per giorni, i medici fuggono (o vanno a lavorare a gettone dove pagano meglio). Il sistema sta implodendo in tutte le Regioni, sia pure con gradazione di gravità differente. Dice il ministro della Salute, Orazio Schillaci: «Oggi dal 60 all'80 per cento di coloro che vanno in pronto soccorso, vi si recano in modo inappropriato. Per evitarlo, dobbiamo offrire una sanità territoriale, come emerso in pandemia. Stiamo lavorando su questo, anche con i fondi del Pnrr che dobbiamo utilizzare in modo corretto. Ma la vera trasformazione sarà la digitalizzazione della sanità, che ci permetterà anche di superare le tante disuguaglianze che ci sono oggi nel servizio sanitario». Al Ministero della Salute c'è un tavolo insediato che sta lavorando per la riforma.

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NODI

Ma l'affollamento infernale ha un effetto collaterale: in 3 anni negli ospedali italiani ci sono stati 5.000 episodi di aggressione e, molto di frequente, sono stati nei pronto soccorso, visto che è la prima linea.

Ma davvero troppo spesso gli accessi sono inappropriati come dice il ministro? Davvero andiamo al Dea per malanni banali per i quali un tempo avremmo chiamato il medico di famiglia? Vediamo i numeri: nel 2021 gli accessi sono stati 14,5 milioni (e nel 2022 sono aumentati), di questi i codici rossi (quindi molto gravi) sono stati solo 366mila, i gialli quasi 4,5 milioni. Ma i bianchi e i verdi (dunque davvero per richieste banali) sono stati rispettivamente 1,8 e 7,8 milioni. In un mondo perfetto questi quasi 10 milioni di cittadini non sarebbero andati ad affollare i pronto soccorso, ma sarebbero stati visitati dal loro medico di famiglia. Il problema è che il sistema dei medici di base di fatto è saltato (sono sempre di meno, hanno moltissimi assistiti e non riescono a occuparsi di tutti) e un cittadino che ha uin problema di salute semplicemente non sa dove chiedere aiuto, se non in pronto soccorso. Per questo Schillaci, in questo caso in continuità con il suo predecessore Speranza, sta puntando molto sulla realizzazione in tutta Italia delle "case di comunità", che saranno realizzate con i fondi del Pnrr, al cui interno il paziente deve trovare un medico o un infermiere che risponde a richieste non urgenti. L'altro strumento deve essere quello dell'"ospedale di comunità", già funzionante in alcune regioni, in alcuni casi a gestione infermieristica, che deve aiutare a liberare i posti letto dei reparti. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che si occupa di analisi e ricerche sul sistema sanitario: «Alcune regioni sono più avanti, penso ad Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Marche. Hanno organizzato una sanità territoriale che dunque offre un'alternativa ai pronto soccorso. Ma c'è una cultura generale da cambiare, perché in Italia prevale l'approccio ospedalecentrico. Il futuro deve essere quello delle "case di comunità", chiamate in precedenza "case della salute", che però in gran parte del territorio, soprattutto nel centro sud, non sono mai decollate. Ma resta ancora da sciogliere il ruolo che a loro interno avranno i medici di base, quello è un problema ancora irrisolto».

IL FRONTE

Tra chi lavora nei pronto soccorso, però, c'è chi avverte: giusto offrire alternative sul territorio, ma non facciamo finta di non vedere l'elefante nella stanza. Oggi i pazienti, soprattutto i più anziani, restano spesso bloccati nei pronto soccorso per giorni perché non ci sono posti letto disponibili per i ricoveri. Massimo Magnanti è primario di un Dea di un grande ospedale romano, il San Filippo Neri, ma da anni è anche il leader di Spes, il sindacato dei professionisti dell'emergenza sanitaria. Racconta: «Andiamo a rivedere i numeri. In Italia tra il 1996 e il 2019 i posti letto sono stati dimezzati a causa dei tagli, sono 160mila in meno. In sintesi: oggi sono 189.826, un letto ogni 314 abitanti; nel 1996 erano 347.297, uno ogni 163 abitanti. Tutto questo è avvenuto con il numero di abitanti che è aumentato e, soprattutto, con l'età media della popolazione che è più alta, e dunque ci sono più patologie che giustificano il ricorso all'ospedale. Giusto potenziare la sanità sul territorio, ma è necessario anche avvicinarsi ai numeri degli altri Paesi per i posti letto. La Francia ha il doppio di letti dell'Italia, la Germania il triplo. Il Regno Unito ha programmato un incremento di oltre 20mila letti».

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