Peste suina, il nuovo piano: abbattere 500mila cinghiali

L’idea di allungare la stagione venatoria e di consentire la caccia anche di notte

Cinghiali
di Diodato Pirone
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Mercoledì 11 Maggio 2022, 22:10 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 11:09

«Depopolamento, ma sul serio». È questa la frase chiave del dossier “cinghiali” esploso dopo la scoperta di casi di peste suina fra gli ungulati presenti in un parco di Roma. Si tratta di una inversione a “U” rispetto all’indifferenza generale che ha fatto esplodere il numero di questi animali in Italia. Secondo la Coldiretti nella penisola si contano 2,3 milioni di cinghiali. Secondo il commissario all’emergenza “peste suina”, Angelo Ferrari, probabilmente sono 3 milioni. E’ un fatto che i cinghiali procurano danni rilevantissimi all’agricoltura, agli automobilisti (non si contano gli incidenti stradali) e ora costituiscono un pericolo potenzialmente mortale per l’intero settore della carne suina. Che sta già subendo il blocco dell’import da parti di Svizzera, Cina, Giappone, Kuwait e altri paesi minori.

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Misure chiare

Per questo fra gli addetti ai lavori si parla di comprimere il numero dei cinghiali di almeno 500.000 unità, eliminandoli del tutto - e in tempi brevi - nelle aree dove sono portatori di virus della pesta suina: gran parte della Liguria e del Piemonte e nella campagna romana.

Nei documenti della Regione Piemonte si indica un obiettivo di depopolamento per 50.000 animali, mentre in Liguria sono stati “stesi” quasi 140 chilometri di barriere nei boschi per costuire una gigantesca “zona rossa” anti-peste dentro la quale fra poco i cinghiali saranno tutti eliminati. 

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A suonare la fine della ricreazione è stato l’altro giorno il sottosegretario al ministero della Salute Andrea Costa. «Non c’è altra soluzione al varo di una piano nazionale per la riduzione del numero dei cinghiali», ha annunciato Costa. E per passare dalle parole ai fatti il governo ha anche stanziato una manciata di milioni in un decreto.

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Non sarà facile concretizzare il depopolamento perché, nonostante i cinghiali costituissero un grosso problema da anni, il dossier è stato sostanzialmente ignorato. Perché? La risposta è semplice: un groviglio di competenze burocratiche ha polverizzato qualunque possibilità di governare il problema. Di cinghiali si occupano due Ministeri, 20 Regioni, ciò che resta delle Province, e l’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale). Risultato? Fino a quando non è esploso il tema della “peste suina” i cinghiali l’hanno fatta da padrone. «Una fase finita - assicura il commissario Ferrari - Il coordinamento con le Regioni è già partito, il prossimo 19 maggio si terrà una nuova riunione nella conferenza Stato-Regioni. Il piano è chiaro: nelle aree con cinghiali infetti gli animali vanno eliminati, il tutte le altre Regioni devono diminuire di numero».
Come? Fra le ipotesi in campo un massiccio coinvolgimento dei cacciatori tramite il prolungamento della stagione venatoria e il permesso generalizzato di cacciare di notte ovviamente lontano da aree abitate e con tutte le regole (sparare ai cinghiali non è un gioco da ragazzi) del caso.

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Capitolo chiuso? Neanche per idea. Stefano Masini, responsabile ambiente di Coldiretti, non nasconde le sue perplessità. «L’esperienza ci insegna che su questo tema serve una pianificazione seria e profonda», dice. «Per risolvere davvero il problema dei cinghiali - aggiunge Masini - Serve ad esempio una gestione rigorosa dei rifiuti. Questo significa non solo la repressione di comportamenti scorretti ma ad esempio la realizzazione del termovalorizzatore a Roma. Ce la faremo?».

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Intanto a premere perché il depopolamento decolli senza indugio sono gli allevatori dei maiali. Il loro settore vale 3 miliardi di euro e decine di migliaia di posti di lavoro. Se la peste suina si diffondesse l’80% dei maiali italiani ne morirebbe.

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