Cauda, infettivologo Gemelli: «Ecco perché alcune città d'Italia rischiano l'effetto Pechino»

Cauda, infettivologo del Gemelli: «Effetto Pechino? Il virus c'è, anche l'Italia rischia»
di Lorena Loiacono
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Mercoledì 17 Giugno 2020, 14:03 - Ultimo aggiornamento: 18 Giugno, 09:38

Il mondo guarda quel che sta accadendo in queste ore a Pechino. E torna la paura: la Capitale cinese ha infatti innalzato il livello di allerta dal terzo al secondo grado: ha bloccato il 70% dei voli aerei e ha chiuso tutte le scuole, primarie e secondarie. Un incubo che sembra non voler finire. Accade in Cina, dove le misure contenitive della prima ondata sono state altissime ed efficaci.
Professore Roberto Cauda, direttore di Malattie infettive del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma, che cosa rischia allora l'Italia, proprio ora che i numeri danno coraggio?

«Certamente i numeri dei contagi stanno andando meglio, sempre con differenze da regione a regione. E' chiaro che in Lombardia dove i dati di partenza erano più ampi, la riduzione è più lenta ma comunque c'è. Ma questa diminuzione di casi non deve farcis entire al sicuro».
L'effetto Pechino può presentarsi anche nelle città Italiane?

«Purtroppo sì, il virus c'è ed è sempre in agguato. Nessuno può dare certezze, non sappiamo ancora cosa sia successo esattamente in Cina, in questi ultimi giorni, ma è verosimile ipotizzare che si tratti di un caso di importazione da fuori».
E' questo il rischio?

«Sì, il rischio è il caso che possa arrivare da fuori area: la morale è di non abbassare mai la guardia anche se i numeri vanno meglio, infatti andavano meglio anche in Cina».
Il Covid-19 non è scomparso, è un errore sottovalutarlo oggi?

«A questa domanda rispondono i nuovi casi della Cina. Finché ci sono focolai, anche esterni al Paese, dobbiamo mantenere alta l'attenzione: nel caso della Cina, infatti, da settimane ormai non si registravano i contagi».
Il virus è sempre così aggressivo? 

«Il virus che ha circolato in Cina dall'inizio ha avuto una contagiosità minore rispetto a quello circolato in Italia, in Europa e negli Usa: sembrerebbe infatti che abbia avuto una mutazione, sotto questo aspetto».
Si trasmette ancora facilmente?

«Sì, parliamo di una malattia che senza misure di contenimento è vicino al livello 3. Anche di più in alcuni casi. Quindi si trasmette efficacemente, inoltre si tratta anche di un tipo di contagio difficile da conteggiare legato agli asintomatici, che sono potenzialmente contagianti ma difficilmente identificabili».
Come evitare un caso Pechino qui in Italia?

«Per ora i numeri che osserviamo ci indicano un affievolimento e una decelerazione dei contagi. Ma il rischio, ripeto, è dietro l'angolo: per questo i numeri vengono dati tutti i giorni e si fanno valutazioni a livello centrale. Il rischio teoricamente esiste, nessuno se lo augura ma nessuno può dire che sia finita».
Come si procede ora?

«Voglio dare un messaggio: sono giuste le riaperture, per il Paese che non può restare chiuso, ma va fatto con un controllo centrale. Bisogna intervenire appena emerge un focolaio. In questa fase 2 avanzata, è fondamentale intervenire con tanti test, tracciare i contatti e mettere in quarantena i sospetti. La prevenzione si fa a monte, ma se il focolaio si verifica è importante spegnere il fuoco».
Esistono aree più a rischio?

«Direi di no, sono tutte a rischio. Se scoppia il focolaio si deve intervenire per fermarlo. E basta».
Una città come Wuhan, che ha già atraversato l'emergenza, non verrà colpita di nuovo?

«Se si riferisce alla possibilità di aver raggiunto l'immunità di gregge devo purtroppo dire che non è così: a Wuhan, città da milioni di abitanti, non ci sono stati tanti casi da raggiungere quel livello. Sarebbero dovuti essere molti di più, così come a Codogno o in Lombardia: abbiamo avuto tanti casi ma non abbastanza da poter parlare di immunità».
Le metropoli sono più a rischio, anche in Italia?

«Sì ma solo perché numericamente ci sono più persone. Ripeto però che il focolaio può esplodere ovunque. Finché il virus è in circolazione, come oggi, possiamo solo contare sulle misure di sicurezza e far sì che non vengano mai meno: mascherine, pulizia delle mani e distanziamento».
 

 

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