Omicron, perché si trasmette più velocemente e chi ha avuto il Covid può infettarsi: cosa sappiamo sulla nuova variante

Omicron, perché si trasmette più velocemente e chi ha avuto il Covid può infettarsi: cosa sappiamo sulla nuova variante
di Graziella Melina
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Domenica 19 Dicembre 2021, 08:30 - Ultimo aggiornamento: 20 Dicembre, 11:39

Dietro l'aumento dei nuovi contagi e delle ospedalizzazioni non sembra ci sia lo zampino della variante Omicron. I casi finora identificati sono pochi. Eppure, la prospettiva che a medio-lungo termine possa diventare prevalente non fa stare per nulla tranquilli.
«Dai dati finora disponibili - precisa Claudio Mastroianni, direttore di malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma e neo presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali - la variante Omicron sembra avere un tasso di trasmissibilità superiore. In Sud Africa, nonostante il numero rilevante dei contagi, il numero delle ospedalizzazioni è più basso. Quindi in questa fase, oltre a vaccini e terapie, è necessario continuare a mantenere tutte le misure di prevenzione adottate finora».

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OMICRON È MENO
PERICOLOSA?

I dati disponibili, per ora, non permettono di escluderlo. «Se la percentuale di forme gravi per la Omicron è del 5-10 per cento - rimarca Roberto Cauda, direttore di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma - è chiaro che se colpisce un notevole numero di persone, aumenta anche il dato dei casi in forma più grave.

Teniamo presente che il Sudafrica ha un'età media di 28-29 anni, e noi sappiamo che nei più giovani la malattia decorre in forma meno grave. Ma si è visto che in Sudafrica veniva colpita anche l'età pediatrica con una certa percentuale maggiore. Sappiamo poi che l'immunità naturale, quella acquisita da chi ha già avuto la malattia, non è completamente protettiva con la Omicron. Per cui, chi ha già avuto l'infezione si può reinfettare. Per quanto riguarda la sintomatologia - precisa Cauda - si osserva una minore incidenza di febbre e tosse, mentre sarebbero prevalenti i sintomi riconducibili al raffreddore. Ricordiamo però che in questo momento gli elementi che osserviamo sono mutuati in parte dal Sudafrica e in parte dal Regno Unito. Bisognerà ancora attendere per evidenze superiori».

 


SI PUÒ FERMARE
CON VACCINI E FARMACI?

«Omicron è sicuramente molto contagiosa - ammette Roberto Luzzati, professore di malattie infettive dell'Università di Trieste -. Ora però siamo molto interessati a capire se ha una patogenicità superiore. Una preoccupazione è legata poi ai monoclonali. Sappiamo infatti che dei tre tipi che stiamo utilizzando, soltanto l'ultimo arrivato, ossia quello della Glaxo, sarebbe attivo. E questo rappresenta un handicap visto che noi stiamo usando finora i monoclonali più vecchi. L'elemento positivo è invece che la terza dose del vaccino può proteggere dalla variante Omicron. Raccomandiamo quindi chiunque non si sia ancora vaccinato a farlo al più presto».


QUANTO È DIFFUSA
IN ITALIA?

Sapere quanti casi sono presenti sul nostro territorio aiuterebbe senz'altro a frenare la corsa del virus. Secondo Mauro Pistello, ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all'Università di Pisa, vicepresidente della Società italiana di Microbiologia e tra i fondatori della rete di sequenziamento dell'Istituto Superiore di Sanità, «in Italia in qualche modo ancora reggiamo il colpo, anche se lentamente la presenza di Omicron sta aumentando, ed è probabile che a Natale la percentuale di nuovi casi sia consistente. Sembra che da noi si diffonda meno rispetto ad altri paesi - rimarca Pistello - segno che il combinato di vaccini, mascherine, distanziamenti e comportamenti funziona. Ricordiamo però che il vaccino non riesce a proteggere del tutto dall'infezione, per cui le mascherine sono necessarie perché limitano la diffusione». Inutile dire che i casi di Omicron in Italia potrebbero essere molti di più rispetto a quelli identificati. «È indubbio che noi rileviamo una parte - ammette Pistello - Almeno a livello nazionale, a macchia di leopardo, sono sequenziati il 10-15 per cento dei casi. Quello che vediamo è solo la punta di un iceberg. Ma se dovessimo fare un'analisi di tutti i campioni, per noi potrebbe essere complicato, visto che come è noto disponiamo di risorse ridotte».

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