Omicron 2, posso contagiarmi di nuovo? Il caso delle reinfezioni, Iss: ​«Crescono dopo 7 mesi dalla guarigione»

La nuova variante espone al contagio chi ha già contratto il virus. Uno studio dell’Iss ha analizzato i rischi: «Crescono dopo 7 mesi dalla guarigione»

Omicron 2, posso contagiarmi di nuovo? Il caso delle reinfezioni tra donne e giovani: lo studio dell'Iss
di Francesco Malfetano
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Lunedì 21 Marzo 2022, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 09:33

Fino a pochi mesi fa era un evento più unico che raro: con l’avvento di Omicron e della sua subvariante, Omicron 2, anche chi si è già contagiato corre il rischio concreto di incappaer in una seconda infezione. Ad evidenziarlo sono i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss) che evidenziano come nelle ultime settimane il tasso delle reinfezioni sul totale dei casi registrati sia in crescita. «L’analisi del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021 - data considerata di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron, si legge nel report dell’Iss - evidenzia un aumento del rischio relativo aggiustato di reinfezione».

Omicron 2, chi sono i più esposti

In particolare i più esposti sono coloro che sono risultati positivi oltre 210 giorni fa.

Perché proprio sette mesi? Come hanno spiegato diversi esperti, dopo 6 mesi la risposta immunitaria innescata dal contagio si abbassa notevolmente, anche per quanto riguarda il vaccino. Del resto è proprio per questo motivo che il booster, la terza dose di vaccinazione anti-Covid, è così importante: anche se non blocca il contagio, contrasta in maniera significativa la possibilità di sviluppare una forma grave di malattia. Tant’è che stando ai dati dell’Iss, tra i soggetti più esposti ad una nuova infezione da variante Omicron ci sono tanto i non vaccinati quanto i vaccinati da più di 4 mesi. Non solo. Secondo l’analisi dell’Istituto inoltre, il rischio di una reinfezione oggi sarebbe più elevato nelle donne rispetto agli uomini, verosimilmente per la maggior presenza di donne in ambito scolastico dove viene effettuata una intensa attività di screening e per funzione di caregiver in ambito famigliare. Discorso più o meno simile, e cioè per un’attività quotidiana maggiormente esposta alle possibilità di contagio, rende più probabile una reinfezione nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. Infine, come prevedibile, si riscontra un maggior rischio di reinfezione anche tra gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione. In totale, riferisce l’Iss, dal 24 agosto 2021 al 16 marzo 2022 sono stati segnalati 264.634 casi di reinfezione, pari al 3% del totale dei casi notificati.

 

Gli esperti

«Contrarre nuovamente il virus dopo la guarigione oggi è una possibilità concreta - spiega Roberto Cauda direttore del reparto di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma - tuttavia è bene ribadire che questo non è assolutamente scontato. Nonostante Omicron 2 appaia quasi certamente più trasmissibile della variante “uno” e che secondo alcuni studi abbia anche una maggiore patogenicità, al momento non sembra avere un impatto epidemiologico rilevante». Intanto però, a causa dell’aumento generalizzato dei contagi è inevitabile che l’allarme resti alto. «Il virus sta di nuovo circolando molto e registriamo molte reinfezioni, in prevalenza nei giovani - dice invece Claudio Mastroianni, presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e ordinario di Malattie infettive all’Università Sapienza di Roma - È ancora presto per dire se questo aumento dei contagi avrà una ripercussione anche sui ricoveri. Al momento le strutture non sono sotto stress, ma dipenderà dai numeri che avremo nei prossimi giorni. Anche l’anno scorso si era verificata nello stesso periodo una ripresa dei casi. Abbiamo a che fare oggi con varianti più contagiose, con l’infezione che colpisce anche i vaccinati. La cosa positiva è che il vaccino, soprattutto la dose booster, protegge dalla malattia grave ed evita il ricovero». 

La situazione

In ogni caso, al netto delle reinfezioni e del rialzo dei contagi, è presto per parlare di quinta ondata. Eppure non si tratterebbe neanche un “rimbalzo” rispetto all’ultima fase. I dati sono infatti troppo eterogenei tra i vari territori per poter dare un’etichetta. Incidenza per 100mila abitanti più alta al centro-sud, in particolare in 8 regioni (Umbria, Puglia, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Abruzzo e Toscana) mentre per ora va meglio il Nord con minore circolazione virale nelle tre maggiori regioni dove vivono quasi 20 milioni di persone (Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) nonostante la prevalenza di Omicron 2 sia più elevata (68%), mentre risulta più bassa (32%) al Sud. Questa l’analisi del presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che ha fatto il punto sull’andamento dell’epidemia evidenziando anche, con l’incremento dei casi, «segnali iniziali d’impatto, seppur limitato, sugli ospedali». Anche per questo, ha concluso Cartabellotta, la proposta delle regioni di abolire il monitoraggio quotidiano non può stare in piedi.

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