Tuo figlio ha un disagio emotivo? I 3 indizi per capire se è a rischio burnout e come aiutarlo

Chiara Ionio, professoressa di psicologia dello sviluppo all’Università Cattolica di Milano, spiega come aiutare i ragazzi

Tuo figlio ha un disagio emotivo? I 3 indizi per capire se è a rischio burnout e come aiutarlo
di Graziella Melina
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Martedì 30 Maggio 2023, 13:40 - Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 16:44

«Portare il proprio figlio dallo psicologo non significa marchiarlo a fuoco come malato mentale». Secondo Chiara Ionio, professoressa di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università Cattolica di Milano, rivolgersi ad un esperto «può servire anche per far fiorire alcune qualità che i ragazzi hanno ma non riescono a vedere».  

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Come riconoscere se c’è un disagio emotivo? 

«Le situazioni possono essere le più disperate: un cambio di comportamento nella relazione con il genitore, con i familiari ma anche con i compagni, scelte di vita repentini, la manifestazione di irrequietezza, di insofferenza, scatti di rabbia.

Oppure, se i ragazzi si chiudono, non parlano, si isolano dal gruppo sociale, non vanno nella direzione tipica dell’adolescente. Non dimentichiamo che esistono anche comportamenti legati a patologie, magari non diagnosticate per tempo, e che il genitore fa fatica a vedere: mi riferisco per esempio ad un autismo ad alto funzionamento. In questo caso, di fatto i ragazzi performano anche bene a scuola, però non hanno relazioni sociali». 

Da cosa dispende la loro fragilità?  

«I ragazzi possono avere una mancanza di comprensione degli stati emotivi propri e anche altrui, e questa condizione può essere legata ad un mancato rispecchiamento dei propri genitori quando erano piccoli, ad una scarsa attitudine da parte dei genitori a stare nella relazione col bambino e dare un significato alle emozioni che provava. Se il genitore non si mette in questo rapporto, il bambino farà fatica a capire come gestire gli stati emotivi, non riuscirà a trovare il modo per incanalare in maniera corretta l’emozione negativa. Vuol dire in sostanza che col tempo i ragazzi non hanno imparato le strategie per gestire la frustrazione e le emozioni connesse, ossia la rabbia, l’esplosione della collera, l’aggressività. In alcuni casi, poi, se il ragazzo non ha costruito il senso del sé nel tempo con le relazioni, potrà poi non sentirsi all’altezza. Tra l’altro, oggi, in questa società se non sei performante non sei nessuno. Il che non vuol dire essere bravi a fare qualcosa, ma semplicemente fare cose, anche senza senso, purché però siano viste. E questo porta i ragazzi a non sentirsi valorizzati: i social definiscono chi sono io e la mia popolarità dipende da quanti like ottengo. Ma gli adolescenti hanno bisogno di stare nella relazione vera». 

Quando bisogna farsi aiutare da un esperto? 

«Spesso i genitori fanno un po’ fa fatica a considerare il disagio psichico come un disagio vero e proprio. Di solito si tende a giustificare il comportamento del figlio. Banalmente, a scuola, vengono segnalati in maniera più frequente i ragazzi con comportamenti esternalizzanti, quindi che disturbano in classe, che fanno a botte, che rispondono male. Mentre di solito quelli ritirati restano nell’ombra e quindi non danno fastidio. È importante che gli adulti di riferimento, a scuola o nella famiglia, possano cogliere questi segnali e capire se si tratta di disagio oppure fa parte del temperamento di quel ragazzo. E per riuscirci occorre sempre tenere un dialogo aperto. Bisogna ricordare però che spesso, quando c’è un ragazzo che sta male, dietro magari ci sono genitori che fanno fatica a gestirlo. Quindi anche loro in quel momento, non avendo risorse per rispondere ai bisogni del figlio, necessitano di ascolto e supporto».

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