Covid scuola, test dai medici di base: tra analisi e quarantene le famiglie sono nel caos

Covid, test dai medici di base: tra analisi e quarantene le famiglie sono nel caos
di Mauro Evangelisti e Lorena Loiacono
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Domenica 11 Ottobre 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 09:47

La babele delle regole e l’intricata matassa delle limitazioni a scuola quando spunta un ragazzino positivo o semplicemente uno studente resta a casa con la febbre, stanno avendo due effetti pericolosi: le famiglie vivono nell’incertezza, condannate alle quarantene, a inseguire i tamponi che non riescono a ottenere o che eseguono nei drive in anche dopo 10 ore di attesa; il sistema dei tamponi, quanto mai importante in questi giorni per intercettare il prima possibile i positivi, sta andando in tilt, travolto dalla mole di richieste causata dalle riaperture delle scuole.

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LA RIUNIONE

Anche di questo il Comitato tecnico scientifico parlerà oggi nell’incontro straordinario con il ministro della Salute, Roberto Speranza.

L’ipotesi è attuare un metodo già partito nel Lazio: chiedere ai medici di base e ai pediatri di libera scelta di eseguire i test rapidi antigenici nei loro studi. La pressione degli scienziati del Cts punta a non abbassare la guardia sul fronte dei tamponi molecolari, a raddoppiare le postazioni dei drive in se serve, ma anche a fornire strumenti più agili alle scuole. Oggi nessun pediatra si prenderà mai la responsabilità, se un ragazzino dopo un po’ di febbre deve tornare a scuola, di firmare un certificato senza l’esito del tampone molecolare. «C’è una responsabilità penale - racconta il dottor Pierluigi Bartoletti, vicesegretario vicario dei medici di base - perché il medico deve certificare l’assenza di malattie infettive e diffusive. Ma come si fa senza un test? Detto che prima di tutto deve esserci il rispetto delle regole di prevenzione da parte di tutti i cittadini, dunque mascherine e distanze, va anche precisato e perimetrato il concetto di “contatto stretto”. Non si può chiudere un’intera classe e chiedere a tutti i tamponi se si scopre un positivo. Ma lo stesso vale per la vita quotidiana, il concetto di “contatto stretto” è troppo inflazionato. Dobbiamo riuscire a fare i tamponi a coloro che veramente ne hanno motivo».

 

PRIGIONIERI IN CASA

Tra quarantene e attese per i tamponi, le famiglie sono prigioniere in casa, e sarà sempre peggio, perché durante l’anno scolastico le assenze per malattia sono frequenti, ma se ogni volta serve il tampone per rientrare, non se ne esce. Il Cts oggi chiederà a Speranza di accelerare sull’approvazione di norme a sostegno dei tamponi rapidi di tipo antigenico, con prelievo dal naso o anche salivare, riconoscendoli come validi per rientrare a scuola. In Liguria il consigliere regionale Ferruccio Sansa ha raccontato la sua esperienza poco incoraggiante: figlio di 15 anni con febbre e positivo al Covid, nessun tracciamento, nessuna segnalazione della Asl a Immuni, «al test io risulto negativo ma ho 38 di febbre da giorni. Non sento più gli odori, respiro male e ho le ossa rotte. Mia moglie ha avuto la febbre per giorni, ferma a letto spossata. L’olfatto azzerato. Ha il Covid? I sintomi ci sono ma dopo quattro giorni attende ancora l’esito del tampone. Dei due figli piccoli uno era negativo, l’altro chissà. Non si sa più nulla del tampone». C’è un altro problema: ogni Regione va da sé, addirittura ogni Asl ha le sue direttive da imporre alle scuole che poi devono recepirle. E così, come un effetto domino, si viene a creare una difformità di regole che manda in tilt istituti e famiglie. «In Italia il sistema scolastico è nazionale - sottolinea Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi - lo abbiamo sempre considerato così. Ma ora, in emergenza, ci troviamo a dover seguire le linee del sistema sanitario che ha indirizzo regionale. Abbiamo un’enorme varietà di indicazioni che andrebbero uniformate per far sì che siano tutte uguali da Bolzano ad Agrigento».

LE REGOLE

Che cosa significa, in pratica, avere a che fare con una difformità di regole? Uno studente con la tosse, a volte, viene allontanato dalla classe. A volte, ma non sempre. A quel punto, per rientrare in aula, deve farsi vedere da un medico. In teoria, senza dubbi su un eventuale contagio da Covid, può tornare in classe senza problemi. Ma gli può anche essere richiesto un certificato medico che arriva solo dopo l’esito del tampone. Spesso ma non sempre. E’ il pediatra a deciderlo oppure, a volte, sono le scuole a richiederlo.

Qual è la regola? «Teoricamente anche un raffreddore può essere sintomo di Covid - spiega Antonio Palma, segretario del Cipe del Lazio, la Confederazione italiana dei pediatri - quindi non possiamo escludere alcuna ipotesi. Si stanno prescrivendo molti tamponi per questo motivo, una soluzione al problema può arrivare dai test rapidi. Ma per i pediatri sarebbe tutto più semplice se si facesse chiarezza sulle norme: ci sono Regioni, come l’Emilia-Romagna, dove è previsto espressamente che solo in presenza di febbre serve effettuare il tampone. Con la tosse non è previsto. In questo modo ci si muove più serenamente». Ma i dubbi riguardano anche i certificati: dire che il certificato serve per un’assenza per malattia superiore ai 5 giorni che cosa significa? «Se lo studente è assente per 5 giorni, in teoria - continua Palma - torna senza problemi. Il certificato serve se l’alunno manca da sei giorni ma non è così: viene puntualmente chiesto a partire dal quinto giorno di assenza». 

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Al primo colpo di tosse, la classe trema. La paura del contagio, ormai, va di pari passo con quella di finire in quarantena. Perché per ogni classe in isolamento, ci sono 20-25 ragazzi che restano senza didattica e ci sono tante altre classi che restano senza docenti.


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