Covid, Piemonte sospende ricoveri no coronavirus negli ospedali (esclusi urgenze e oncologici). Terapie intensive in allerta in Italia

Piemonte sospende ricoveri no Covid negli ospedali (esclusi urgenze e ricoveri oncologici). Terapie intensive sature in Italia
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Mercoledì 10 Marzo 2021, 20:29 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 07:13

Sistema sanitario sotto pressione in Piemonte. Sospensione temporanea dei ricoveri no Covid, escluse le urgenze e i ricoveri oncologici. È la disposizione che l'Unità di crisi della Regione ha dato questa sera a tutte le aziende sanitarie del Piemonte a causa dell'aggravarsi della pandemia e della necessità di ulteriori misure per garantire sufficienti posti letto a disposizione dei pazienti Covid. Differite anche tutte le attività ambulatoriali, ad eccezione di quelle urgenti. Esclusi dal provvedimento anche gli screening oncologici. L'obiettivo, in questo modo, è di passare dal 20% al 40% dei posti letto totali dedicati al Covid.

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«La necessità di allentare la pressione sulla rete ospedaliera - spiega il dottor Emilpaolo Manno, coordinatore dell'area sanitaria dell'Unità di Crisi - costringe il Dirmei a prendere nuovi provvedimenti, nella corretta applicazione del piano pandemico. Non vuol dire che siamo in affanno, visto che abbiamo ancora ampi margini di manovra sulla riorganizzazione delle nostre strutture in caso di peggioramento della situazione, ma occorre agire in considerazione dell'evolversi dell'epidemia. Quanto alle prestazioni ordinarie procrastinate, queste verranno riprogrammate appena possibile e in ogni caso le urgenze, le patologie oncologiche e i percorsi nascita saranno tutelati come sempre. Inoltre, abbiamo raccomandato alle aziende che si cerchi il più possibile di sviluppare la gestione dei pazienti Covid a domicilio».

Allarme terapie intensive

L'occupazione delle terapie intensive da parte di pazienti Covid in Italia torna a superare la soglia critica del 30%, salendo in 10 giorni del 6% e portando l'orologio indietro di due mesi, al livello di metà gennaio.

Questo il quadro, pur caratterizzato da grandi differenze territoriali, che emerge dal monitoraggio dell'Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), in base al quale sono 11 finora le regioni in allerta, con picchi, dal 67% del Molise al 57% dell'Umbria, fino al 10-12 per cento di Valle d'Aosta e Sardegna. A livello nazionale, in base ai dati del 9 marzo, le terapie intensive occupate da persone positive al Sars-Cov-2 arrivano ora a quota 31%, superando il livello oltre il quale risulta difficile poter curare adeguatamente altri pazienti non Covid. Rispetto ai dati del primo marzo si è passati dal 25% al 31% e a superare la soglia critica del 30% sono: Abruzzo (41%), Emilia Romagna (40%), Friuli Venezia Giulia (34%), Lombardia (43%), Marche (44%), Molise (67%), PA di Bolzano (39%), PA di Trento (54%), Piemonte (36%), Toscana (36%), Umbria (57%).

A crescere, secondo il monitoraggio Agenas è anche il numero dei posti letto per malati Covid nei reparti ospedalieri: il valore nazionale tocca quota 35%, ovvero +5% rispetto al primo marzo, ma comunque ancora sotto la soglia critica, definita in questo caso pari al 40%. A superarla sono 7 regioni: Abruzzo (45%), Emilia Romagna (47%), Lombardia (46%), Marche (54%), Molise (45%), Piemonte (42%) e Umbria (51%). L'indice di occupazione in rianimazione e in reparto, afferma Alessandro Vergallo, il presidente del sindacato degli anestesisti rianimatori ospedalieri (Aaroi-Emac), «è molto elastico e varia velocemente seguendo gli effetti positivi o negativi delle zone colorate più scure o chiare». Inoltre «assistiamo a un'estrema diversità regionale ad esempio il Molise, che era stato risparmiato nei mesi scorsi, sconta ora un sistema sanitario più debole anche sotto il profilo dei posti letto disponibili». Se in alcune regioni non si rilevano sofferenze sul fronte della pressione dei pazienti Covid nelle strutture sanitarie, è «critica» invece la situazione nelle terapie intensive della Lombardia, dove «il numero continua a crescere», secondo Antonio Pesenti, il responsabile Terapie intensive della Regione Lombardia.

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«L'onda - spiega - è cominciata da dieci giorni, forse quindici. Il problema è che sta salendo ad una velocità importante e non sappiamo quando si fermerà». Tuttavia, ricorda, «prima del Covid, a Gennaio 2020, i letti di terapia intensiva disponibili totali erano 720. Sono stati aumentati di molto, a marzo siamo arrivati a 1.500 malati Covid ricoverati per un totale di circa 1.800 letti». E dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, arriva l'allarme per la saturazione dei posti letto a Bari e Taranto: «Con l'aumento dei contagi le altre province non potranno dare aiutò, dice il governatore. Situazione pesante anche in Emilia Romagna. »Questa in termini di impatto è la prima ondata per noi«, commenta Paolo Bordon, dg dell'Azienda Usl di Bologna. »Ora tra tutti gli ospedali della rete abbiamo 1160 persone ricoverate. Di queste 199 in terapia intensiva e subintensiva«, il doppio di novembre. »Abbiamo trasformato tutto il trasformabile ma il timore è che non ci basti ancora« e »fuori dagli ospedali non c'è più la percezione di quel che sta accadendo dentro«.

Colpisce poi, aggiunge, »il cambio del paziente tipo: medici di 45-50 anni ora ritrovano in corsia, intubati, ex compagni di scuola. Non vedono più gli anziani, ora curano i coetanei«. Lo conferma Vergallo: »Vediamo un abbassamento di almeno 10 anni dei ricoverati in rianimazione, da 64-74 anni della prima ondata a 54-64. Da un lato per maggior protezione della popolazione più anziana. Dall'altro per la maggior movimentazione di persone più giovani che hanno una loro attività lavorativa e che spesso comportamenti sociali più a rischio«. Tuttavia ora, conclude, »noi rianimatori, che abbiamo avuto molti contagi e decessi nella prima ondata, siamo un pò più tranquilli grazie al fatto che siamo tutti stati vaccinati«.

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