Arcuri e le «mascherine pericolose»: chiesto il processo per l'ex commissario. Dispositivi "dannosi per la salute"

Ottocento milioni di mascherine irregolari importate dalla Cina

«Mascherine pericolose» Chiesto il processo per Arcuri
di Valentina Errante
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Giovedì 20 Aprile 2023, 12:47 - Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 09:42

Ottocento milioni di mascherine irregolari e pericolose per la salute, utilizzate dai medici in piena emergenza Covid. Dispositivi di protezione pagati dalla struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri con cospicui anticipi, prima delle verifiche di conformità previste dalla legge. Una fornitura pagata un miliardo e 251 milioni di euro con i fondi speciali della presidenza del Consiglio, preceduta da una trattativa nella quale i mediatori italiani, che hanno incassato provvigioni a sei zeri dalle società di Hong Kong, non sono stati menzionati, anche se la legge prevedeva una rendicontazione. Per queste scelte, che hanno determinato una posizione di «vantaggio patrimoniale» ai fornitori, adesso, la procura ha chiesto il processo per Arcuri, quattro società e altre undici persone, tra le quali Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento, che, oltre a rispondere di abuso d'ufficio, come l'ex commissario, dovrà difendersi anche dall'accusa di frode in pubbliche forniture e falso in atto pubblico, per avere indotto «il Cts ad attestare falsamente la conformità dei presidi sanitari importati alle norme».

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LE ACCUSE
Secondo le indagini del nucleo di polizia valutaria della Finanza l'acquisto degli oltre 800 milioni di mascherine, durante la prima drammatica ondata di contagi (maggio-luglio 2020) sarebbe avvenuto con la mediazione di alcune aziende italiane grazie al rapporto privilegiato tra Arcuri e Mario Benotti, l'ex giornalista ora accusato di traffico di influenze, che avrebbe ottenuto dal commissario un'esclusiva nell'intermediazione delle forniture.

Sarebbe così stato accreditato presso il commissario l'imprenditore Vincenzo Andrea Tommasi al quale veniva assicurato di selezionare, attraverso la sua "Sunsky spa" le aziende cinesi, alle quali la struttura avrebbe fatto l'ordine, e di mantenere i rapporti tra il governo e le società per la logistica, il trasporto e la soluzione delle anomalie documentali «senza alcun incarico formale o contratto scritto così da potere incassare provvigioni a valere sui prezzi pagati dal governo, senza alcun controllo pubblico». Tommasi avrebbe agito in concorso con Nicolas Venanzi e attraverso la mediazione degli altri indagati si sarebbe rivolto a tre consorzi cinesi. Le accuse vanno dalla ricettazione al riciclaggio, oltre alla frode in pubbliche forniture. Perché i mediatori indagati avrebbero ottenuto così dai cinesi oltre 70milioni di provvigioni.

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GLI ANTICIPI
Secondo la ricostruzione del nucleo di polizia valutaria della Finanza, Arcuri e Fabbrocini avrebbero «omesso intenzionalmente di formalizzare e palesare il rapporto di mediazione che la struttura commissariale costituiva e intratteneva con Tommasi» che, in questo modo non avrebbe avuto responsabilità sull'enorme quantitativo di mascherine risultate pericolose perché di fatto non proteggevano dal virus. Non solo, Arcuri e Fabbrocini avrebbero «concesso alle società cinesi indicate da Tommasi anticipazioni dei pagamenti prima di ogni verifica in Italia sulla qualità delle forniture e sulla validità dei documenti di accompagnamento. Proprio in un momento in cui - come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dal pm Gennaro Varone - a tutti gli altri importatori italiani si negavano anticipazioni dei pagamenti, imponendo loro di acquistare a proprio carico, i dispositivi da fornirsi, con pagamento a verifica della merce in Italia, così razionando l'offerta a favore di Tommasi.
 

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