In fondo, paghiamo tutto. E forse non è giusto

di Roberto Gervaso
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Giovedì 6 Settembre 2018, 10:17
Quando la moglie di Wilde, Constance, seppe che il marito era stato incarcerato, lasciò la propria casa e si trasferì con i figli in quella di parenti. I giornali andarono a nozze, montando lo scandalo: Sensazionale. La vittoria di Queensberry e l'arresto Oscar Wilde. Oscar Wilde sotto accusa. Il marchese di Queensberry sfoggiò spudoratamente la propria soddisfazione, deciso a distruggere socialmente, moralmente e psicologicamente l'artista.

Bosie, frastornato da quel che era successo e temendo guai peggiori, prese la penna e scrisse allo Star: La folla dei reporter accalcati intorno al carcere ululava reclamando il sangue di Oscar come un branco di lupi.
Il più coccolato e osannato commediografo del suo tempo si trovò solo, bersaglio di lazzi, ingiurie, minacce. Tutti, o quasi, gli voltarono le spalle e i creditori ne approfittarono per pignorargli i mobili e gli oggetti di valore, fra cui i bellissimi quadri, messi in vendita a poche centinaia di sterline.

In cella l'irlandese riceveva ogni giorno la visita di Alfred, ma quando il pupillo partì per la Francia, trovò conforto solo nelle appassionate lettere che scriveva a Bosie: Tendo le mani verso di te. Possa io vivere per toccare i tuoi capelli e le tue mani. Credo che il tuo amore veglierà sulla mia vita Carissimo ragazzo, dolcissimo fra tutti i giovani, amatissimo e più amabile. Aspettami. Io sono, come sempre, dal giorno che ci siamo conosciuti, devotamente tuo. Con amore immortale, Oscar.

Alfred sarebbe potuto restare a Londra, ma un po' le pressioni delle famiglie, un po' i consigli degli avvocati, che paventavano il suo coinvolgimento nella torbida e ormai inequivocabile love story, un po' l'egoistico edonismo che gl'impediva di rinunciare ai piaceri della libertà e del libertinaggio, che ne è la proibita e deliziosa evasione, l'avevano indotto a varcare la Manica.

Dubitiamo che al suo posto Oscar Wilde si sarebbe comportato nello stesso modo. Ma Oscar lo amava davvero, lo amava perdutamente, il suo non era un capriccio, il narcisistico sfogo di un vizio innominabile e spregevole nell'Inghilterra puritana della goffa e maestosa Vittoria. E sarà proprio questa consapevolezza e la delusione inconfessata per la partenza di Bosie a fargli vergare queste righe accorate: Mi sono stati attribuiti i peccati di un altro mi sarei potuto salvare a sue spese, se non proprio della vergogna, almeno dal carcere.

Il primo processo non gli fu del tutto sfavorevole, ma la richiesta della magistratura subornata dalla parte lesa, di un secondo dibattimento, inguaiò Wilde, che, comunque, ottenne la libertà provvisoria dietro cauzione di cinquemila sterline. Dieci volte quella versata a suo tempo dal marchese per lasciare la prigione.

Se Wilde, appena uscito dal carcere, avesse immaginato l'accoglienza dei londinesi, sarebbe rimasto nell'angusta e maleolente cella a meditare sui casi della vita e sulla volubilità della fortuna. Nessun albergo accettò di ospitarlo e i ristoranti che per anni se lo erano conteso, gli chiusero le porte in faccia, condannandolo al più vile e ingrato ostracismo. Trovò asilo a casa della madre, dove i pochi amici che gli erano rimasti gli facevano a turno visita. Era un uomo distrutto e si vedeva. E non era ancora finita.

Bosie, in vacanza in Normandia, lo invitò a raggiungerlo, ma Oscar gli rispose che non si sarebbe mosso da Londra: Non voglio farmi dare del pusillanime o del disertore Oh, più dolce di tutti i ragazzi, più amato di tutti gli amori, la mia vita si aggrappa alla tua, la mia vita è la tua tu sei il mio ideale di ammirazione e di gioia. Ma era disperato. Disperato e sull'orlo dell'abisso.
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