L'amore ha il diritto di essere libero, ma anche il dovere di essere riservato

di Roberto Gervaso
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Martedì 4 Settembre 2018, 08:45
Come spesso capita in un ménage a due, specialmente in quelli più tormentati, soprattutto se socratici, il partner più favorito dalla natura e dall'età detta le regole del gioco e lo conduce. Bosie era, sì, stato scelto e sedotto, ma non si era trattato di un plagio. Si era trattato di uno spontaneo consenso, di un'adesione istintiva a quell'edonismo che tanto più appaga i sensi quanto più li turba e li conturba.

Oscar conquistò Bosie con l'intelligenza, lo spirito, la parola, le pose. Ma il giovane patrizio proprio questo cercava. Un uomo che fosse anche un artista, capace di procurargli piacere, ma anche di lusingarne la vanità, di adularne il talento, d'ispirarne la vena lirica.

Wilde era un grande artista, e con un simile mentore lo sarebbe diventato anche lui. Non era solo opportunismo, ma anche schietta ammirazione. Quell'ammirazione che in certi momenti si sublima in devozione, quasi in estasi cerebrale.

I successi teatrali di Oscar inorgoglivano Bosie, almeno quanto dannavano il padre, che, alla prima di Un marito ideale, depositò al botteghino un mazzo di carote e ortaggi. Ma ormai la relazione era nota e i londinesi, fingendo di scandalizzarsene, ne traevano spunto per le loro conversazioni salottiere, farcite di espliciti pettegolezzi e perfide insinuazioni.

Oscar e Alfred, sempre in lotta e in rotta con il Marchese, sembravano non scomporsi. Quando a Londra l'aria diventava irrespirabile e Queensberry lanciava nuovi e sanguinosi ultimatum, i due amanti lasciavano la capitale per lidi esotici. In Algeria incontrarono André Gide, che Oscar avrebbe iniziato alla sodomia senza che il neofita opponesse resistenza. Il potere di seduzione dell'irlandese era fatale.

Tornarono sulle rive del Tamigi nel febbraio 1894 e il 14, Wilde assisté a L'importanza di chiamarsi Ernesto. Non un successo: un trionfo. I teatri londinesi mai avevano visto tanto pubblico, così entusiasta, così plaudente. Oscar aveva fornito, ricreandolo, il più pirotecnico dei testi. Una serie di battute impertinenti, di paradossi fulminanti, di sapidi calembour. Il tutto all'insegna di un anticonformismo, per i tempi, quasi eversivo. Come agli occhi dell'infame e irriducibile marchese, appariva l'autore della commedia.

Quattro giorni dopo, il 18 febbraio, il maturo nobiluomo decise di giocare la più subdola, sleale delle carte. In compagnia di un testimone, come abbiamo visto, andò all'Abermarle Club, di cui il dublinese era Socio, e consegnò al portiere un biglietto da visita con questo empio strale: Au Oscar Wilde, cho pose sas sodomite, a Oscar Wilde che s'atteggia a sodomita.

Quando il commediografo lo lesse, temendo, non a torto, che altri nel club avessero fatto altrettanto, ebbe un duplice moto di preoccupazione e di rabbia. Ne parlò con la moglie, che vedeva di rado, ma che quel giorno doveva incontrare. Le disse che il marchese non l'avrebbe fatta franca: lo avrebbe denunciato e mandato in galera. Constance cercò di dissuaderlo da un gesto che avrebbe portato alla ribalta l'intrigo amoroso con Bosie. E, quel che è peggio, gettato fango anche su di lei e sui figli.

Era un consiglio saggio che Oscar non seguì perché Douglas lo convinse, più di quanto già non fosse convinto, a querelare il marchese per diffamazione.

Il 2 marzo Queensberry venne arrestato, ma subito rimesso in libertà dietro cauzione di cinquecento sterline. Un errore, che Oscar, avrebbe pagato caro.
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