L'amore ha una sola poesia: l'amore stesso

di Roberto Gervaso
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Venerdì 31 Agosto 2018, 09:12
Wilde raggiunse Bosie a Firenze, e di lì a poco ripartirono insieme per Londra, dove il nome del commediografo campeggiava sui cartelloni dei maggiori teatri. Tutti parlavano di lui, le grandi salonnières se lo disputavano, ma a turbare i suoi sonni, e le sue veglie, era il marchese di Queensberry, tanto più temibile perché ex campione di boxe, sia pure peso piuma, giocatore di hockey e frequentatore di palestre e d'ippodromi. L'idea che il figlio avesse una tresca con Wilde, tresca ormai di pubblico dominio, lo contrariava e lo angustiava. Lo contrariava perché l'aristocratico aveva un debole per le donne; lo angustiava perché disonorava il casato.

Era un pari del Regno e al suo buon nome non così buono, ma le apparenze andavano salvate teneva. Convocò il figlio, gli rinfacciò la relazione con Wilde, intimandogli con perentoria brutalità di troncarla. Se non l'avesse fatto, se ne sarebbe amaramente pentito: niente più appannaggio. Alfred promise e se ne andò. Ma tutto finì lì: Oscar non lo avrebbe lasciato mai. Lo scrisse al marchese, suggellando la lettera con uno sprezzante: «Che ometto ridicolo sei».

Wilde capì che il contrasto fra padre e figlio avrebbe nuociuto sia a lui che a Bosie, e a farne le spese sarebbe stata la loro unione. Consigliò al giovane amante di non tirare troppo la corda, di non reagire con eccessiva impulsività alle provocazioni del sanguigno e violento Queensberry. Ma Bosie fece orecchio da mercante e imperterrito continuò a svillaneggiare il padre, che minacciò di distruggerlo se lo avesse rivisto in pubblico con Wilde.

«Provaci», replicò in tono di sfida Alfred, comunicandogli dove e quando avrebbe rivisto Oscar. Non solo. Gli disse anche come lo avrebbe rintuzzato: «Se cercate di assalirmi mi difenderò con un revolver carico, che porto sempre con me. E se vi sparo, o egli vi spara, saremo completamente giustificati perché agiremo per legittima difesa contro un violento e pericoloso ribaldo. E penso che, se sarete morto, pochi sentiranno la nostra mancanza».

L'artista e il nobiluomo s'incontrarono in casa di Wilde e poco mancò che non venissero alle mani. Il vecchio ex pugile, che non conosceva le mezze misure, deciso a far valere la propria autorità di padre e il proprio prestigio di aristocratico, in preda a un'ira omerica sbottò: «Se vi colgo un'altra volta con mio figlio in un locale pubblico, vi faccio a pezzi».

Oscar si sentì ribollire il sangue nelle vene e con voce alterata, il volto contraffatto dallo sdegno, replicò: «Se qualcuno osa toccarmi anche solo con un dito, sparo a bruciapelo». Mise quindi l'ospite alla porta, accusandolo di avere abusato della sua pazienza. Queensberry uscì imprecando e minacciando: «La vostra condotta e quello di mio figlio è uno scandalo inverecondo. La cosa non finisce qui».

Né qui sarebbe potuta finire, viste le radicali e inconciliabili posizioni delle parti. Se il marchese non avesse mai accettato quella relazione, e in tutti i modi, leciti e illeciti, e in tutte le sedi, pubbliche e private, avesse cercato di porvi fine, Oscar e Alfred avrebbero difeso con le unghie e coi denti il loro legame.

Per l'irlandese, Bosie era, con l'arte, la sua ragione di vita. E non ne faceva mistero. Né si stancava di ripeterlo ad Alfred con l'enfatica tenerezza del più fervido amante: »Mio caro ragazzo, non posso vivere senza di te. Sei così caro, così meraviglioso! Penso a te l'intero giorno, alla tua grazia, la tua bellezza fanciullesca, il luminoso fioretto del tuo spirito, la fantasia delicata del tuo genio».
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