Un grande Ron canta Lucio Dalla, Ruggeri e i Decibel provocano in rock, Annalisa ha cambiato strada

Ron e Lucio Dalla
di Fabrizio Zampa
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Mercoledì 14 Marzo 2018, 11:30 - Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 12:59
Ron – Lucio
 
Basta leggere un paio di righe di questo elenco di canzoni per capire subito che si tratta di lui, uno dei più grandi della nostra musica d’autore. Facciamo subito la prova? Almeno pensami (l’inedito con il quale il nostro protagonista ha partecipato all’ultimo festival di Sanremo vincendo il premio della critica), il leggendario 4 marzo 1943, Tu non mi basti mai. Andiamo avanti, anche se la risposta è chiara e unica: Lucio Dalla. Ron, all’anagrafe Rosalino Cellamare, annata 1953, nato a Dorno, Pavia, ha conosciuto Lucio quasi mezzo secolo fa e da allora è stato amico, collaboratore, co-autore, partner musicale, compagno di palco del cantautore scomparso nel 2012 (è morto a Montreux tre giorni prima del suo sessantanovesimo compleanno), del quale cantò nel 1971 a Un disco per l’Estate Il gigante la bambina, testo di Paola Pallottino e musica di Dalla. Da allora le loro strade sono andate avanti fianco a fianco, passando per successi come Piazza grande (la scrissero insieme su un traghetto Napoli-Palermo, sempre nel 1971, e un anno dopo Lucio la portò a Sanremo), Attenti al lupo e così via, come dire altrettanti pezzi di storia della nostra canzone d'autore.

Andiamo avanti con l’elenco, che poi è la scaletta di Lucio, l’album che Ron ha dedicato ai capolavori di Dalla. Ci sono Henna, Attenti al lupo, Quale allegria, Chissà se lo sai, Futura, Canzone, Cara e Come è profondo il mare, probabilmente il brano nel quale il pubblico, vecchio o giovane che sia, vede il segno più tangibile del cantautore, e del quale Ron, che l’ha vestito di un sound rock, in questo disco ha conservato la voce originale di Dalla, («Era cosi bella che non potevo toccarla o fingere che non esistesse», spiega), così come ha fatto in altri due pezzi, Piazza grande e Chissà se lo sai.

Va detto subito che l’operazione (per la quale Ron ha aspettato a lungo semplicemente perché è un uomo e un musicista educato, innamorato del suo lavoro e che ha un enorme rispetto, cosa rara nel mondo della musica, per chi quel rispetto se lo merita) è di prima categoria. Gli arrangiamenti sono di gran classe, pieni e rotondi ma mai esagerati o tirati per i capelli, e ascoltarlo vuol dire entrare con discrezione, ma anche con provvidenziali sprazzi di luce, nelle mille pieghe nascoste da Dalla nelle sue splendide composizioni. Il vostro cronista ha avuto la fortuna di far parte come batterista della band The Flippers, con la quale nei primi anni sessanta Lucio ha suonato (sax e clarinetto, con il suo bel piglio di jazzista) e cantato (per esempio i pezzi di Ray Charles, dei quali non conoscendo l’inglese inventava le parole, poi vedremo nei dettagli come). Già allora aveva una straordinaria vocalità e in un album di quei tempi c’è un pezzo, intitolato Hey You, che fu inciso mentre facevamo le prove: Lucio cantava scat, la ritmica era veloce e saporita di jazz, nessuno di noi sapeva che i registratori erano in funzione e il brano fu poi messo nel disco perché era davvero straordinario. Una volta, a quei tempi e sempre in sala d’incisione, serviva una voce altissima: Ennio Morricone, che sovrintendeva alle registrazioni, provò con due o tre soprano, ma solo Dalla riuscì a arrivare così in alto e con note precise, intonatissime, perfette.  Parlavamo della sua scarsa conoscenza dell’inglese: una sera suonavamo con la band in un locale di Santa Margherita Ligure, e arrivò una quarantina di americani, ai quali piacque la voce di Lucio al quale chiesero di cantare Georgia on my Mind, brano del quale lui conosceva solo le parole del titolo, e per di più era un pezzo lento. Beh, si inventò tutto usando una sorta di grammelot alla Dario Fo, gli americani furono entusiasti e parlarono con lui per una buona mezz’ora, in una lingua misteriosa nella quale nessuno è riuscito a capire che accidenti si siano detti.

Ok, torniamo al disco di Ron, che è una meraviglia, offre tante emozioni e non cade neanche per un istante nei rischi che comportano tributi del genere. E’ un album solido e sincero, si potrebbe dire fatto col cuore, ma anche con le sue tante doti di musicista e di interprete. Ci sembra inutile aggiungere altro. Compratelo subito e aggiungetelo agli album di Dalla che certamente già avrete: sarà uno splendido modo di rivivere la lunga avventura musicale sia di Ron che di Lucio.
 


 
Decibel – L’Anticristo
 
Enrico Ruggeri, annata 1957, è un rocker che non ha mai smesso di frugare nelle nuove tendenze, dal post-punk alla new wave, ma l’ha fatto e lo fa senza mai perdere di vista il suo tocco personalissimo, idee fresche e al passo coi tempi, la voglia di mettere in musica una verità sua anche se si è sempre ispirato ai migliori nomi sulla scena internazionale degli ultimi decenni. Un mese fa al festival di Sanremo si è presentato con la sua storica e ritrovata formazione (un trio con il chitarrista Fulvio Muzio e il tastierista Silvio Capeccia che nasce ai tempi del liceo: erano compagni di scuola a Milano e già allora, quarant’anni fa, facevano rock, sia insieme che in gruppi diversi) e con un brano, Lettera dal Duca, che era nato come una lettera a David Bowie. «Mentre la componevamo aleggiava su di noi lo spirito del Duca Bianco», racconta Muzio. «Ma Bowie non era un fantasma ,né nulla di trascendentale: avevamo solo passato un’intera giornata a parlare di lui, e quella notte l’ho persino sognato, in un sogno, sia ben chiaro, piacevolissimo», aggiunge Ruggeri. Per la cronaca, a Sanremo, nella serata dei duetti, il venerdì, al loro fianco c’era lo scozzese Midge Ure, frontman e chitarrista negli anni Ottanta degli Ultravox, band che nel 2009 ha avuto una storica reunion per un lungo tour.

Ecco, basta questa premessa per chiarire che il rock di Ruggeri & soci è qualcosa di vero, sentito, vissuto, amato e sofferto, e poco conta se la giuria del festival non si è strappata i capelli per la loro canzone. Sono gente che suona, lo fa benissimo, crede nella sua musica, e che nel 2017, trentasette anni dopo le precedenti performance, si è rimessa insieme per fare l’album Noblesse Oblige. «Per Noblesse – spiegano - il progetto fu semplice: andiamo in studio e vediamo che cosa succede.. Per L’Anticristo è stato diverso: entriamo in studio e facciamo come si faceva una volta: proviamo le canzoni fino a quando non pensiamo che siano pronte per essere registrate. E infatti il disco è più compatto, ed è suonato dal vivo dall'inizio alla fine, proprio come si faceva ai vecchi tempi».

Sulla copertina dell’album i Decibel sono ritratti come tre manager freddi, eleganti e con gli occhiali neri in un futuro apocalittico: «Hanno gli occhi da rettile e l’aria di chi sta manovrando occultamente i destini dell’umanità», spiega il comunicato ufficiale. E infatti dopo un’apertura di sapore quasi apocalittico il secondo brano, appunto L’Anticristo, parla di come le persone vengano manipolate, delle cose che tutti dobbiamo per forza fare, di un anticristo che forse ci potrebbe salvare e al quale si chiede di donarci una fede nel futuro: è un esempio di quel rock nichilista che strizza l’occhio al buon vecchio punk e che Ruggeri ha sempre cavalcato. Ecco, è un esempio della musica che si faceva ieri ma che oggi ha ancora un suo preciso significato. «Il bandito è chi ruba nella banca o chi ci sta, criminale è chi genera miseria e povertà», dice il brano La banca. L’album ha sonorità piene, della serie così è anche se non vi pare, e a tirare le somme è un disco senza età, come teoricamente dovrebbe essere il rock: una piccola lezione che ha il suo senso, specie nei tempi che corrono. E’ in arrivo un tour dei Decibel, che partirà in aprile e che il 15 maggio sarà a Roma, al Parco della Musica.


 
 
 
Annalisa – Bye Bye
 
L’ultimo e sesto album di Annalisa (Annalisa Scarone, da Savona, 33 anni il prossimo agosto) si chiama Bye Bye, ovvero  ciao, arrivederci, e il titolo rappresenta per la protagonista una sorta di taglio con un passato fatto di tanti profumi, tanti colori e tanti tentativi nei quali suoni elettronici e suoni pop, timidezza e aggressività, raffinatezza e mix di varie tendenze si alternavano e mescolavano alla ricerca della ricetta giusta. Che la cantante sia una bella ragazza e abbia una bella voce (intonatissima, è il caso di sottolinearlo) è fuori discussione, ma di belle voci l’Italia abbonda e spesso abusa: uno sguardo ai talent show basta per capire che se si puntasse solo su quello il paese sarebbe un gigantesco coro. Reduce anche lei dall’ultimo Sanremo (ne aveva già fatti tre, sempre piazzandosi discretamente) stavolta ha deciso di dare una svolta a una carriera piena di alti e bassi cominciata sette anni fa a Amici di Maria De Filippi e andata avanti con numerose esperienze: ha scritto brani per Benji & Fede, per Gianna Nannini e addirittura per Tony Hadley, ex frontman degli Spandau Ballet, ha fatto quattro tour con i pezzi di altrettanti cd, ha collaborato con Kekko Silvestre dei Modà, insomma è una che di musica ne mastica, e stavolta, per di più, sembra aver trovato quell’energia che le mancava.

«E’ vero, questo disco è un taglio con un passato nel quale ho commesso parecchi errori, ma se dovessi tornare indietro li farei di nuovo, perché è proprio grazie agli errori che si impara, si matura e si va avanti», dice. E ha ragione, soprattutto perché questo Bye Bye non è niente male, anzi, diciamo che le è venuto bene, grazie anche a un producer, Michele Canova, che nel mondo pop è un numero uno. Certo quella che canta Annalisa non è roba da appassionati di black music, però funziona, specie per quel pubblico che sente la musica alla radio, su Youtube, sull’iPod o magari anche ai concerti, ma che non spende quasi mai un soldo per un impianto serio, da godersi in casa. I brani sono tredici, scritti da lei (in buona parte)  e da altri autori, il sound ha un certo sapore rock e  punta su una buona dose di elettronica, e i pezzi migliori sono quello che dà il titolo al disco, il sanremese Il mondo prima di te, Direzione la vita, Ogni festa (il testo è di Colapesce) e il conclusivo Dov’è che si va. Per i teenager è il disco giusto.

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