Le bombe spiegate ai bambini

Le bombe spiegate ai bambini
di Paolo Graldi
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Martedì 26 Aprile 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 21:33

«Che cos’è la guerra?», chiede Sophie, sette anni, seconda elementare. Vive in un paesino vicino a Roma e la maestra ha risposto con una poesia di Gianni Rodari: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno, né di notte, né per mare, né per terra, per esempio la guerra”. 
Il geniale autore delle “Favole al telefono” dice quel che non bisogna fare. Ma è solo una parte della risposta alla domanda della piccola. 


«Vogliamo vedere il sole, ridateci il sole», gridano i bambini di Mariupol, segregati da settimane in un bunker che li protegge dalle bombe dei mercenari ceceni, spediti da Putin a portare morte e distruzione. 
Ecco il quadro: da una parte un numero imprecisato, altissimo, di piccoli, con la statistica che si aggiorna di ora in ora, sacrificati dalla strategia di distruzione totale e i loro coetanei, a migliaia, che invocano di poter usufruire di una via di fuga umanitaria verso la salvezza, al di là dei confini della guerra chiamata “operazione militare speciale”. 
Nessuno, mai, potrà risarcire i bambini per le sofferenze loro imposte da questa apocalisse insensata. Affamati, atterriti, pervasi dagli incubi creati dal frastuono delle bombe, accerchiati da ogni lato dalla distruzione i piccoli pagano in questo conflitto il prezzo più alto e additano i responsabili di colpe incancellabili. 


Ecco: da questa parte la guerra viene mostrata in tv, raccontata dalle immagini, illustrata dai racconti di chi sul terreno la vive e ce la restituisce nel suo procedere sanguinoso. 
Mentre gli analisti si esercitano su che cosa mai frulli nella testa del dittatore russo, per scrutarne le intenzioni strategiche e le prossime mosse, i bambini come Sophie si domandano e domandano che cosa mai sia tutta questa distruzione e perché ci sono degli uomini che combattono contro altri uomini e come mai la gente comune viene uccisa dai missili e dalle bombe a grappolo. 


I bambini, nella loro ingenua schiettezza, non fanno mai giri di parole. Non dicono una cosa intendendone un’altra, diversa, lasciata nella nuvola del dubbio. 
I ragazzini chiedono e vogliono sapere. Rispondere alla domanda - «Che cos’è la guerra e perché la fanno?» - è dunque un esercizio di verità, di chiarezza. 
Poter spiegare a un bambino perché un suo coetaneo, solo per il fatto che vive in Ucraina, è costretto a morire mentre c’è qualcuno che reclama il diritto di imporgli questa sorte maledetta, potrebbe rivelarsi un modo per sentire insopprimibile il bisogno di togliersi di dosso questa vergogna, per avvertire la necessità di chiamare con urgenza l’intervento di tutto ciò che sa di pace e dunque di vita. 


Spiegare ad un bambino che cos’è la guerra è affare complesso e probabilmente inspiegabile proprio perché si tratterebbe di rendere utilizzabile l’assurdo e chiamare la morte e la distruzione a darci la serenità. 
A quel bambino si può soltanto dire, cercando nella sua mente assetata di risposte, «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», come direbbe Montale. Ma già la sola domanda contiene una forza straordinaria alla quale potremmo fare ricorso. 
Se non altro per dire, a quel bambino, che la guerra è qualcosa di talmente brutto che non si può neanche descrivere. 


I maestri che studiano il pensiero dell’infanzia, gli Ammanniti ed i Caffo, dovranno aiutarci a cercare le parole per dirlo, perché comunque una spiegazione è ineludibile e i nostri piccoli interlocutori vanno aiutati a comprendere ed elaborare le brutture del mondo.
Comunque va spiegato che la guerra non va fatta, mai.

E questo basterebbe come risposta a una domanda tanto terribile e tanto impossibile. Tre versi da tenere sempre a mente: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno, né di notte, né per mare, né per terra, per esempio la guerra”.

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