Nelle scuole romane sale la febbre dell’occupazione: in poco tempo ha assunto le sembianze di una pandemia. Sono quasi 20 gli istituti che, a varie riprese, sono stati “paralizzati” dalla protesta: si lamentano antichi ritardi nella programmazione degli studi, l’asfissia di ambienti inadeguati, promesse a pioggia non mantenute, disagi enfatizzati dal Covid, dal tanto tempo trascorso in Dad. Il mondo dei ragazzi sembra risvegliarsi con la più classica (e obsoleta) delle proteste: la presa in ostaggio delle aule. Una dinamica d’altri tempi che accarezza nostalgie romantiche e ben poco d’altro.
Va comunque raccolto il segnale di una certa rabbia. Il rito della occupazione porterà danni agli edifici scolastici, è fatale, e ammaccature agli allievi. Tuttavia, sarebbe un errore far finta di niente.
Al liceo Morgagni, il virus, com’era prevedibile, ha colpito una studentessa e allora è scattato l’allarme generale. Insomma, si occupano gli istituti, ci si ammucchia bivaccando tra banchi e corridoi ma ci si espone al rischio concreto di finire tutti in quarantena. Anche se in tempo di pandemia manifestare è lecito diventa imperativo categorico per tutti comportarsi mantenendo attive e permanenti le regole della salute pubblica. Tanto più nel traballante pianeta dell’istruzione.