Roma, la lunga scia di sangue porta all'arsenale segreto. «Ecco le armi dei killer». Trovato un arsenale a Pietrala

Arrestato un 50enne legato alle bande di spacciatori: era il custode del covo

Omicidi Fiore e Finizio, l'Antimafia ha scoperto un arsenale di armi a Pietralata: un arresto
di Michela Allegri e Camilla Mozzetti
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Giovedì 30 Marzo 2023, 14:31 - Ultimo aggiornamento: 1 Aprile, 08:56

La lunga scia di sangue che ha sconvolto la Capitale, culminata con gli agguati costati la vita a Luigi Finizio, il 13 marzo scorso, e ad Andrea Fiore, ucciso nella notte tra domenica e lunedì a Torpignattara, porta a un appartamento in zona Pietralata. Secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia è uno dei covi dove i killer hanno nascosto le armi utilizzate per omicidi, gambizzazioni, minacce, nella guerra tra clan dello spaccio che sta mettendo a ferro e fuoco la città: dieci pistole - tra le quali una Glock 17 - un fucile Whinchester con canna mozza, una mitragliatrice Scorpion e centinaia di munizioni. Armi clandestine, alcune con matricola abrasa, che potrebbero essere il bottino di furti e rapine. L'inquilino dell'appartamento è stato arrestato: secondo gli inquirenti è il custode dell'arsenale. Si tratta di un cinquantenne legato alle bande di spacciatori.

 

L'INTERROGATORIO Gli inquirenti sono arrivati a lui a colpo sicuro.

A dire dove si trovassero le armi potrebbe essere stato Daniele Viti, 43 anni, originario di Veroli, in provincia di Frosinone. È stato arrestato lunedì in relazione all'omicidio di Fiore. A casa sua i poliziotti hanno trovato quattro chili di cocaina. Interrogato, avrebbe confermato l'indirizzo del covo. Ieri il suo arresto è stato convalidato: la misura nei suoi confronti è stata confermata e il gip ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. L'accusa è concorso in omicidio. Secondo gli inquirenti non sarebbe stato lui a premere il grilletto nell'agguato mortale, ma era presente: incastrato dal portafogli dimenticato a casa della vittima, potrebbe avere convinto la vittima ad aprirgli la porta dell'appartamento. La caccia ai killer è ancora aperta. Intanto la polizia scientifica sta effettuando accertamenti balistici per verificare se armi e munizioni recuperate nel covo siano effettivamente state usate nei delitti: stanno eseguendo confronti con i bossoli trovati. L'APPARTAMENTO Un dato potrebbe non essere secondario. L'appartamento che è stato perquisito dagli agenti della Squadra Mobile, è vicino alla casa di Fabrizio Fabietti, il braccio destro di Fabrizio Piscitelli, il Diabolik capo ultrà della Lazio che, secondo i magistrati della Dda romana era diventato uno dei re dei narcos della Capitale e che è stato freddato il 7 agosto 2019 con un colpo di pistola alla testa. Fabietti era stato arrestato proprio in quella casa durante l'operazione Grande raccordo criminale, nel novembre 2019, che gli ha fatto ottenere una condanna in primo grado a 30 anni di reclusione. Per l'accusa, anche Fabietti era finito al centro della guerra tra narcos che aveva portato alla morte di Diabolik: era candidato a essere una delle vittime. Da un'informativa della Mobile, infatti, emerge che Raul Esteban Calderon, ora a processo per avere premuto il grilletto contro Piscitelli al Parco degli Acquedotti, insieme a Leandro Bennato, aveva in programma di fare fuori anche lui. Per undici giorni, dal 14 al 25 novembre 2019, avrebbero cercato di ucciderlo. E Fabietti, spaventato, si era addirittura dotato di una scorta armata per sfuggire agli agguati.

LA GUERRA Adesso la guerra tra bande per la conquista delle piazze di spaccio della Capitale è ricominciata. D'altronde, come emerge da un'informativa della Mobile, «l'esecuzione di Diabolik ha rappresentato una sorta di spartiacque» negli equilibri della malavita romana: c'è un prima e un dopo la morte violenta dell'ex capo ultrà degli Irriducibili della Lazio. Secondo gli inquirenti, hanno contribuito a firmare la sua condanna a morte «la smania di potere e di voler comandare su tutti, al punto da fare a volte il paciere come un vero padrino», ma anche «i brutali sistemi da lui utilizzati per recuperare i crediti», «le troppe prepotenze» e «la sua quasi spasmodica avidità di denaro». La "pax" mafiosa, che prevedeva pochi spargimenti di sangue e una meticolosa suddivisione della città in zone di competenza per lo spaccio della droga - in modo da non attirare l'attenzione delle forze dell'ordine - si è rotta da tempo. E la convinzione è che i fatti di sangue degli ultimi mesi - gambizzazioni, omicidi tentati e consumati, sequestri di persona - si inseriscono in questo contesto.

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