All’origine di tutto c’è un divieto: a differenza che in altri paesi, da noi la legge proibisce l’uso di cadaveri per scopi didattici (articolo 413 del codice penale, rientra fra i cosiddetti “delitti contro la pietà dei defunti”). Nelle facoltà di medicina, per insegnare agli aspiranti chirurghi le tecniche di intervento, si è sempre rimediato all’italiana: si dava una mancetta al custode dell’obitorio, si cercava uno dei cosiddetti “morti di nessuno”, un poveraccio che non avesse parenti pronti a fare causa, e così gli studenti potevano fare esercizio.
Per alcune specialità mediche (per esempio l’otorinolaringoiatria) molte lezioni di chirurgia si possono fare sui teschi, ma neanche procurarsi un cranio è mai stato facile. Si racconta di medici che andavano a farne scorta in Francia, attraversando la frontiera con valigie cariche di calotte craniche.
Negli ultimi anni pare che la situazione sia cambiata: sono nate strutture specializzate, regolarmente autorizzate dalle istituzioni sanitarie, che utilizzano corpi di donatori. Ma i donatori italiani scarseggiano, e le procedure burocratiche non sono semplici, quindi i cadaveri vengono spesso importati dall’estero. Molte teste arrivano dagli Stati Uniti, inviate in appositi contenitori refrigerati.
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