Pronto soccorso, l’incubo di mezza estate

di Raffaella Troili
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Mercoledì 17 Agosto 2016, 00:17
Se volete vedere la vera umanità, venite in un pronto soccorso in una notte di mezza estate
@simonacambarau

Gigi ha visto cose. Gigi ha visto la normalità. Gigi è stato in un Pronto soccorso romano, è ovunque così, è stato già raccontato. Quattro giorni. Lo va ripetendo da un mese. È scappato, ma è rimasto un poco lì. Gente per terra, gente ad aspettare una coperta da casa. Era un codice giallo, la sua pressione, i suoi valori andavano monitorati e fatti rientrare. Steso su una lettiga, le flebo, la solitudine, gli è venuto un po’ da piangere. Ma Gigi è uomo di mondo, appena si è liberato un letto si è alzato e l’ha “occupato”. Sì, occupato, perché la guerra e guerra, «ora questo è mio» e infatti nessuno gli ha detto di no. Poi ha voluto un pappagallo. Un po’ perché stava male un po’ perché se si alzava chissà se ritrovava il letto libero. Ma niente. Pappagalli finiti, un caos intorno e lui lì ad assistere, spettatore forzato di una corte dei miracoli e di un lavoro sovrumano. Con tre euro a un infermiere o portantino, bene non sa chi fosse, il pappagallo comunque è spuntato «ero pronto a dargliene dieci». Ora che guarda il mare, col cruciverba in mano, ancora ogni tanto ripete «sono stato in ospedale». Ricorda l’uomo nero e nudo steso a terra, la stanza divisa con due donne, il dolore, gli odori, ma soprattutto una cosa: la fatica, l’attenzione, la premura di chi gli girava intorno e l’ha curato. Non si dà pace, che funzioni così, «che i medici sono bravi e le strutture sono a pezzi». E così lui lo racconta, sembra tornato dal Vietnam.

raffaella.troili@ilmessaggero.it
 
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