Roma, chiude la libreria “I Trapezisti” a Monteverde. Il libraio su Facebook spiega il perché

Il monopolio della distribuzione, i rapporti, i grandi editori, le catene e le politiche degli sconti: le spiegazioni sui social

Roma, chiude la libreria “I Trapezisti” a Monteverde. Il libraio su Facebook spiega il perché
di Pietro Piovani
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Lunedì 11 Ottobre 2021, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 20:43

Una piccola libreria di Roma chiude, non è la prima e di sicuro non sarà l’ultima. È la libreria “I Trapezisti”, a Monteverde. Uno dei due titolari, Maurizio Zicoschi, sta pubblicando una serie di video su Facebook in cui spiega perché la sopravvivenza di una piccola libreria è ormai impossibile: il monopolio della distribuzione; i rapporti incestuosi tra il grande distributore unico, i grandi editori e le grandi catene di librerie; le politiche degli sconti; l’obbligo di pagare anticipatamente i libri invece di poterli tenere nel negozio in conto vendita; la concorrenza illegale dei negozi di fotocopie.

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Nell'insieme, un sistema di regole che sembrano fatte apposta per stritolare il libraio indipendente.

Maurizio ci racconta la sua storia personale: «Sono laureato in matematica, lavoravo come analista per le società di software, guadagnavo molto bene. Poi ho deciso di cambiare: la mia compagna Barbara aveva una libreria e sono entrato in società con lei. Abbiamo avuto per anni una libreria universitaria, fatturavamo 250 mila euro l’anno ma l’utile era zero anzi sotto zero. L’abbiamo chiusa e abbiamo riprovato con questa. Abbiamo creato una piattaforma che collega 180 editori indipendenti a circa altrettanti librai, e siamo riusciti a mettere in piedi un'associazione di librerie che ha più di cento iscritti. Ma dopo venti anni di precarietà, dodici ore di lavoro al giorno per non guadagnare niente, adesso diciamo basta». Con la sua laurea in matematica, Maurizio ha fatto domanda come supplente nelle scuole. Lo stesso ha fatto Barbara, la sua compagna e socia, laureata in lettere. «Vogliamo un lavoro normale. Vogliamo uno stipendio».

pietro.piovani@ilmessaggero.it

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